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Come diventare un growth hacker: intervista a Raffaele Gaito

Scritto da Daniel Casarin | dicembre 1, 2016

Chi è un growth hacker? A nostro parere è una questione ancora aperta che invita spesso a dare opinioni avventate o contrastanti. Un dibattito che comunque prosegue, mentre la maggior parte delle startup (e non solo) sono alla ricerca di questa figura “mitologica” in grado di equilibrare sforzo e risultati tra marketing ed ingegneria.

Ma quali sono le abilità e le capacità da possedere per essere un growth hacker? Quali sono le principali differenze rispetto ad un moderno marketer? Lo abbiamo voluto chiedere direttamente a Raffaele Gaito che sta promuovendo (giustamente) il growth hacking come il futuro del marketing o meglio...

 

Cos'è il growth hacking? Semplice.
"Quello che il marketing doveva essere fin dall’inizio.” Michael Brenner.

 

Innanzitutto Raffaele, ti puoi presentare rapidamente ai nostri lettori?

Per la presentazione rapida uso questa formula: Imprenditore Digital, Growth Hacker, Blogger e Startup Mentor. Faccio azienda da quando avevo 20 anni e scrivo codice da quando ne avevo 15.

Cosa ti ha spinto ad approfondire l’argomento del Growth Hacking e perché ci stai investendo così tante energie? Non potevi continuare a scrivere codice senza importunare i marketer in eventi come il Mashable Social Media Day Italia?

Non scrivo codice da ormai tanti anni. Ho capito che amo troppo la programmazione per farne un lavoro. Ogni tanto smanetto con qualche progettino personale, ma più che altro per provare le nuove tecnologie. Facendo azienda praticamente da sempre, ti ritrovi molto spesso ad avere ruoli che vanno al di là della tua formazione. Quindi anche se nasco come programmatore (ho una laurea in informatica) in realtà è da una vita che mi sono spostato sugli aspetti di business e di marketing.

Poi è arrivato il Growth Hacking (ringrazio sempre "papà" Sean Ellis) che si è piazzato proprio in mezzo a quei tre mondi che ormai bazzicavo da una vita. E lì è stato amore a prima vista!



Quali sono le capacità che a tuo parere devono evolvere nei marketer moderni per abbracciare quello che effettivamente doveva essere il marketing fin dall’inizio?

Se parliamo di Growth Hacking, le aree da tenere in considerazione sono tre: marketing, prodotto e programmazione. Il marketer italiano medio di solito ha competenze solo sulla prima delle tre aree. Anzi, a volte manco quello! Poi deve inevitabilmente completare il tutto con conoscenze di prodotto (competenze che di solito sono lasciate al product manager) e conoscenze di codice (competenze che di solito sono lasciate al programmatore).

Tutto questo poi va racchiuso e organizzato con un metodo ben preciso e con un approccio ben definito. Non basta fare 2-3 esperimenti con i facebook ads. Se manca uno di questi aspetti non stanno facendo Growth Hacking. Possono riempirsi la bocca quanto vogliono, ma è altro ;)

…e le tre qualità più importanti che definiscono un Growth Hacker?

Ce ne sono tante. Se mi obblighi a sceglierne tre direi sicuramente:

  1. Un mindset data-driven. In molti dicono di utilizzare approcci data driven quando in realtà usano, come direbbe il caro Andrew Chen, un approccio data-informed. Hanno configurato l'analytics, sanno cosa succede nel loro sistema e poi il rapporto con i dati finisce lì. Il vero Growth Hacker non prende nessuna decisione se non c'è una metrica a supporto.
  2. Una formazione "a T" o, semplicemente, multidisciplinare. Come ho già detto in una risposta precedente, un Growth Hacker che si rispetti lavora a cavallo di diversi ambiti. È importante avere un minimo di formazione sulla UX, sulla psicologia e i comportamenti, sul copywriting, ecc.
  3. Creatività e apertura mentale. Tutto questo parlare sempre di dati rischia di far passare il messaggio che il Growth Hacker non abbia creatività. In realtà è falso e, anzi, è fondamentale avere una grande apertura mentale e una buona dose di creatività.

In che modo essere un Growth Hacker cambia la percezione in cui vedi un prodotto o un servizio?

Questa domanda si ricollega strettamente con la precedente e, in particolare, con il punto 3 della mia risposta. Il Growth Hacker tenta di analizzare il dietro le quinte di un prodotto o servizio, ma non solo in termini di dati e numeri. Una cosa che faccio spesso è, ad esempio, capire se una tecnica che ha funzionato in un determinato settore può funzionare in un altro.

Gli aspetti di creatività a cui facevo riferimento sopra sono fondamentali quando ti trovi a testare un nuovo prodotto o servizio. Io mi chiedo sempre: perché hanno fatto questa cosa? Chissà se posso utilizzarlo anche con quel cliente? E se qui invece ci fosse quest'altra cosa?



Come immagini l’integrazione della figura mitologica del Growth Hacker all’interno di una moderna azienda? È possibile? Immagini sevizie di ogni tipo all’interno dei team del marketing o con i designer?

In realtà in molti casi le aziende non riescono a integrare un Growth Hacker inteso come singola persona, ma piuttosto inseriscono un team di Growth Hacking. Ad oggi, soprattutto in Italia, è la cosa più sensata per due motivi:

  • I Growth Hacker puri siamo pochi (in rete veniamo definiti gli unicorni, come i programmatori full stack) ed è più facile coprire quell'insieme di skill con 3-4 persone invece che una sola.
  • I Growth Hacker costano tanto. Infatti, di solito, preferiamo fare i consulenti invece di legarci a una singola azienda. Soprattutto se si è in fase iniziale (penso alle startup) può avere senso fare un Growth Team (e farlo formare da un Growth Hacker esperto) invece di assumerne uno.

…ma soprattutto è possibile estendere il Growth Hacking alle esigenze di qualsiasi azienda (che cerca di crescere ovviamente…)?

Assolutamente sì!

Questo è un aspetto che sottolineo di continuo, sia nei miei post che nei miei interventi pubblici. Il Growth Hacking è un approccio che può essere utilizzato su qualsiasi tipo di azienda (non solo digital) e in qualsiasi stadio si trovi l'azienda (non solo startup).

Porto sempre l'esempio di colossi che ormai hanno al loro interno il team di Growth Hacking alla pari del team Marketing: Linkedin, SAP, Facebook, Intuit, ecc.

Ho la percezione che ancora in Italia il Growth Hacking sia un argomento da “startuppari aggressivi” (o sognatori) e spesso mi è capitato di dover discutere con sedicenti product owner che invece di migliorare le performance aziendali volevano mantenere uno status quo (marcio) della propria situazione aziendale. Qual è il giusto mindset in grado di portare cambiamento e risultato all’interno di startup (e comunque aziende) per cogliere tutte le opportunità offerte dal Growth Hacking?

Grazie della domanda, è una situazione che percepisco spesso anche io!

La risposta in realtà l'ho data due domande fa: in situazioni come queste l'ideale è portare l'approccio (e la mentalità) Growth Hacking in azienda facendo leva su risorse già presenti all'interno. La formazione è la chiave.

Quindi... non vuoi assumere un Growth Hacking full time perché pensi che costi troppo? Prendi il tuo marketing manager e il tuo product manager e fagli fare un corso serio dove apprendere gli aspetti fondamentali del Growth Hacking che possono utilizzare in azienda dal giorno dopo. Li si va oltre la "questione mindset", parlo proprio di cose concrete come i giusti tool, i giusti framework, determinati approcci, l'uso di modelli noti, ecc.


Processi di Lean Startup e Growth Hacking, possono essere considerate due facce della stessa medaglia?

Il Growth Hacking nasce (in Silicon Valley) prendendo spunto da alcuni elementi noti della "letteratura Startup" (passatemi il termine). Il Lean Startup è solo uno degli elementi a cui il Growth Hacking fa riferimento. Insieme ai concetti di Eric Ries, c'è tanto del Customer Development di Steve Blank, tanto del funnel dei pirati di Dave McClure e così via.

Vedo che anche tu sei un altro professionista che crede nel give back e quando puoi aiuti ragazzi alla prima esperienza e collabori con l’università. Bene, lo siamo in due. Ed ora ti faccio una domanda piuttosto spinosa. Come credi debba evolvere questo luogo dove la “fame” di sapere e di mettere in pratica davvero si respira nell’aria dei corridoi e delle aule?

Che domandona!

C'è tanto da cambiare. Non so dirlo in altre parole e senza far incazzare qualcuno: le università sono indietro. Ma tanto!

Quando parlo ai ragazzi cerco di portargli esempi del "mondo reale" perché mi rendo conto che non hanno idea di cosa succede fuori da quelle quattro mura. E il problema è serio. Questi escono e vanno a fare lavoretti da 400€.

La colpa di chi è? È un po' di tutti quelli che sono coinvolti nel "processo" che li accompagna nei 3-5 anni di Università. Qualche università in Italia si sta muovendo meglio delle altre, ma il gap con le università straniere è enorme. Dobbiamo fare ancora molto da questo punto di vista.

Qual è l’importanza di essere costantemente aggiornati?

È la chiave di tutto. L'apprendimento continuo è al centro di qualsiasi strategia. Lo dico ai miei clienti, lo dico ai miei amici e lo dico anche ai ragazzi nelle università: viviamo in un'epoca meravigliosa nella quale abbiamo accesso a qualsiasi forma di conoscenza a costo zero (o quasi), chi non ne sta approfittando perde una delle più grosse occasioni dei nostri tempi.

Qual è l’ultimo libro che ti è capitato di leggere e che ti ha lasciato veramente il segno?

Leggo parecchio. Cerco di leggere un libro a settimana. Tra quelli letti negli ultimi mesi sono stato piacevolmente colpito da "The 100$ startup". Ce l'avevo in lista da una vita ma ero molto dubbioso al riguardo. Quel titolo mi puzzava di "formule magiche e trucchetti per diventare ricco" e invece è un libro pragmatico, semplice e diretto. Infatti lo sto consigliando a molte persone che non lavorano nel digitale o non hanno nulla a che fare con il mondo startup. È il classico libro che farei leggere anche all'amico che gestisce la pizzeria.

Per concludere… Ti seguo da tempo sui social media e ti ritengo uno dei più interessanti professionisti e consulenti nella scena italiana. Ora però vorrei una tua franca risposta: perché non ti sei trasferito in Silicon Valley?

Sono un nomade. Un nomade digitale.

Al momento non ho ancora trovato un posto che voglio chiamare casa, e non so se mai lo troverò.
Vengo da 2 mesi ad Amsterdam, ora sono 2 mesi a Salerno e poi mi trasferirà per 3 mesi in UK... e ormai faccio così da tempo.

Non sono mai entrato nel merito delle guerre di religione del tipo "Resto in Italia" vs "Scappo dall'Italia". Credo che ognuno debba valutare il posto dove vivere in base a una serie di fattori. Fattori che vanno aldiltà del business e coinvolgono anche aspetti personali. Per ora continuo a viaggiare e a fare esperienze che mi fanno crescere tanto. Poi immagino che un giorno sentirò l'esigenza di rallentare un pochino e avere una base. Ma è prematuro dire dove ;)

 

Photo @ by Matteo Flora