Il Coronavirus continua ad allargare il proprio raggio d’azione, diffondendosi in un numero sempre maggiore di paesi. Assieme ai malati cresce anche il volume dei danni economici, per ora non precisamente stimabile o quantificabile, ma consistente.
Ne risente prima di tutto l’economia cinese, con un indice di produzione manifatturiera sceso dai 51,6 punti di gennaio ai 27,8 di febbraio. Restrizioni sulle spedizioni e un calo della domanda hanno fatto crollare l’export cinese al tasso più alto della sua storia. I processi di supply chain del paese sono fortemente rallentati se non interrotti ma i dati iniziano a riessere positivi.
La comparsa sulla scena mondiale del Coronavirus non ha soltanto creato notevoli danni all’economia cinese, l'ondata ancora non è arrivata completamente in Europa e in Italia potremmo realmente contare i danni a partire da aprile.
Naturalmente l’impatto sul resto del mondo è stato enorme, perché la Cina è oggi un importante fornitore di beni intermedi in moltissimi settori.
È inoltre uno dei maggiori acquirenti di materie prime al mondo, con oltre 300 miliardi di dollari di importazione solo nel 2019. Avendo di colpo interrotto tutte le proprie attività di costruzione e più in generale produttive, la Cina sta mettendo in ginocchio i principali esportatori di commodity.
L’epidemia ha avuto il merito di mostrare al mondo quanto fragile sia un modello economico basato su una dipendenza elevatissima da un solo paese.
La Cina fornisce il resto del mondo in molti settori, ed è in questo campo un riferimento primario.
L’economia cinese è ormai diventata indispensabile ed ogni tentativo di isolarla o isolarsi è destinato a non avere successo. In verità, una riduzione dell’interdipendenza economica tra Cina e resto del mondo è destinata ad aumentare nel tempo.
I motivi sono due: l’inshoring di attività manifatturiere era in corso già prima della guerra commerciale e l’epidemia sta spingendo molte imprese a riorganizzare i propri processi di supply chain, che non torneranno indietro una volta terminata l’emergenza. In seconda istanza, è la Cina stessa a voler ridurre la sua dipendenza dai paesi tecnologicamente più avanzati per aumentare la produzione interna.
In questo articolo vedremo come il Coronavirus ha intaccato il mercato delle commodity e per quali motivi.
Tracceremo non solo un resoconto descrittivo, ma cercheremo anche di capire come le grandi aziende e compagnie possano muoversi su un terreno tanto dissestato cercando di limitare il più possibile i danni.
L’attuale equilibrio economico è piuttosto instabile e le aziende, in particolare quelle che producono commodity, devono sfruttare le più recenti tecnologie per non soccombere.
In questo contesto di diffusa incertezza, le aziende non possono permettersi di aspettare giorni o settimane per analizzare l’evoluzione dei mercati e prendere decisioni.
Il virus era da principio un grave problema per l’economia cinese, ma nel giro di un paio di mesi ha assunto la connotazione di un’emergenza sanitaria mondiale.
Una sorta di effetto a cascata si è abbattuto sul mercato delle commodity, interrompendo gli scambi che la Cina intratteneva con il resto del mondo.
A seguito della diffusione del Coronavirus il mercato delle commodity ne ha risentito non poco:
Il mercato delle materie prime è sempre stato imprevedibile e di difficile lettura.
Pandemie, condizioni meteorologiche estreme, virus che si diffondono rapidamente, geopolitica e guerre commerciali possono far oscillare i mercati nel giro di pochissime ore.
Il proverbiale - ed oggi anche teorizzato - cigno nero è sempre dietro l’angolo.
In fin di conti, l'unica certezza nel mercato delle commodity è che la ricetta per salvarsi è data principalmente da due ingredienti complementari e necessari: la velocità e l’accuratezza dei dati.
Le società che trattano le materie prime devono avere la possibilità di agire in fretta.
Non possono permettersi di aspettare giorni o settimane per analizzare mercati in evoluzione costante.
Devono studiare la situazione nel momento stesso in cui si presenta, in modo da poter creare un piano per capitalizzare le opportunità che si presentano, minimizzare le perdite e diminuire il più possibile il rischio.
Lo studio dei mercati è un processo che richiede tempo e che non va preso sottogamba. Necessita di operazioni di raccolta e manipolazione dati, in genere eseguite su fogli di calcolo o sistemi non progettati per dare risposte in tempi rapidi.
Questi sistemi non forniscono infatti risultati in tempo reale che possano essere considerati attendibili. L’impatto degli oscillamenti del mercato sui portafogli aziendali è a tutt'oggi difficilissimo da definire in tempi rapidi anche all'interno di situazioni “normali”, figurarsi in tempi di crisi.
In un contesto costantemente mutevole ed incerto, le aziende che lavorano sulle commodity devono sfruttare le più recenti tecnologie.
E il problema, paradossalmente, sta proprio qua. Mentre le nuove strategie legate all'uso degli strumenti digitali stanno rivoluzionando una vasta gamma di settori, il mondo delle commodity resta bloccato in una sorta di limbo analogico.
L'incapacità di collegare in tempi sufficientemente rapidi i risultati dei nuovi strumenti, mette l’industria delle commodity in una situazione di serio svantaggio.
Ciò di cui l'industria delle materie prime ha bisogno sono soluzioni basate su piattaforme il più possibile agili, che aiutino le aziende a raggiungere efficacemente quella velocità di cui necessitano in un mercato tanto mutevole.
Le piattaforme sono progettate per fornire accesso in tempo reale ai dati sparpagliati in diversi “luoghi” di un'azienda.
Tra questi troviamo feed di mercato, bollettini meteorologici e posizioni di inventario.
Quando le aziende riescono ad aggregare in maniera automatica i dati disseminati su fogli Excel, statements di broker, sistemi CTRM e altro, possono eseguire analisi molto accurate in tempi anche piuttosto brevi. Questo permette un’analisi precisa della situazione dell’attività in un dato momento.
Ed è proprio qui che un’analisi avanzata può giocare un ruolo chiave.
Con dati disponibili in tempo reale e analisi avanzate e guidate da algoritmi di apprendimento automatico, le aziende possono rilevare immediatamente le anomalie e comportarsi di conseguenza.
Con il rilevamento delle anomalie è possibile comprendere i mutamenti dei prezzi delle materie prime in modo molto preciso. Questo dà alle aziende la possibilità di simulare l'anomalia e valutare l'impatto di ogni evento su qualsivoglia tipo di business.
Si può in questo modo determinare la strategia ottimale per massimizzare i profitti, non trovandosi impreparati in condizioni anche critiche.
In un mercato tanto movimentato tutte le variabili vanno tenute in massima considerazione. Il loro volume è troppo grande per essere gestito con una semplice analisi analogico-manuale. Sono necessarie strategie ben più sofisticate per far sì che le aziende possano analizzare questi dati in modo davvero rapido ed efficace.
Le tecnologie più moderne possono analizzare sia dati strutturati che non, inclusi feed meteorologici, informazioni e trend di mercato, variabili nei processi di supply chain e altro ancora.
Si possono così prendere in considerazione diverse possibilità in vista dei migliori risultati. Si ha inoltre la possibilità di eseguire queste simulazioni in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, utilizzando semplici app su laptop, tablet o telefono cellulare.
Se i contratti con le imprese cinesi sono in pericolo, una soluzione basata su piattaforme all'avanguardia consente agli operatori di estrarre immediatamente ed in maniera ottimale i dati da tutte le fonti, analizzare rapidamente i trend storici e simulare diversi risultati. Possono valutare rapidamente se devono vendere ad altri mercati, riallocare i loro prodotti o attendere il recupero dei prezzi.
Se non puoi far nulla per fermare l'insorgere di malattie, di calamità naturali o guerre commerciali, puoi però preparare la tua azienda a superare queste emergenze in maniera ottimale, sfruttando tecnologie all'avanguardia e sempre più precise.
Il Coronavirus ha posto le premesse per una domanda essenziale.
La digital transformation è necessaria anche per arginare i danni prodotti all'economia da periodi di forte crisi od emergenza? Bene, la risposa è sì.
Che la digital transformation sia un processo inevitabile è ormai cosa nota.
Tutte le organizzazioni ne sono ormai convinte.
C’è la netta consapevolezza che l’adozione di nuove tecnologie aprirà il mercato a nuove opportunità.
Combinare efficacemente l’innovazione dei prodotti e la sicurezza di dati, persone e sistemi è ai primi posti tra le nuove opportunità per i business di commodity.
L’economia diventerà sempre più complessa e si dovrà trovare il modo di tenere a bada tutti i suoi diversi aspetti in un mix non solo efficace, ma anche etico.
Si avverte per questi motivi l’esigenza dell’avvento di una nuova cultura, orientata alla creazione di una forte base digitale che abiliti un approccio unificato alla gestione del rischio.
Si deve inoltre fare attenzione a stimolare azioni coordinate tra le diverse funzioni aziendali, facendo in modo che si evitino il più possibile i punti ciechi.
Tutti sappiamo che il digitale nasconde molte insidie e che il cammino è irto di ostacoli.
Tra questi i più preoccupanti sono senz’altro quelli di natura tecnica, ma non sono gli unici. Ci sono vulnerabilità che aprono la strada ed agevolano gli attacchi dei cybercriminali.
Spesso le aziende non sono consapevoli di questi rischi e non li gestiscono adeguatamente ed in maniera attiva, ma solo reattiva, ovvero a danno ormai compiuto.
Un recente studio condotto da Cornerstone OnDemand e Idc ha mostrato che uno degli ostacoli principali nel cammino delle aziende verso la digital transformation è la parziale (o totale) mancanza di vision da parte del top management.
Siamo in presenza di una resistenza culturale al cambiamento, che si manifesta in un disallineamento tra i top manager e il team IT, soprattutto in materia di strategia digitale e di velocità nel processo interno di innovazione tecnologica. Stando alla ricerca in oggetto, i CIO (Chief Information Officer) europei rilevano problemi inerenti la mancanza di leadership nel 29% dei casi, e di innovazione tecnologica nel 28%.
Per i CIO , la tecnologia e le infrastrutture informatiche esistenti non rappresentano una grossa pietra d’inciampo per la trasformazione digitale, mentre è di parere contrario una grossa fetta degli altri top manager.
Come ha osservato Geoffroy de Lestrange, Associate Director Product Marketing Emea di Cornerstone OnDemand, questo disallineamento di vedute va sanato, se l’azienda desidera che il processo di trasformazione digitale abbia successo. “Non è raro avere una visione incompleta se i diversi dipartimenti non esprimono i loro punti di vista – ha detto il manager – ma per rimanere sui binari giusti e trasformare davvero un’organizzazione, i responsabili di ogni dipartimento devono apportare la loro esperienza, definire la strategia generale e affrontare le sfide come un solo team”.
La situazione non è affatto semplice.
Per questo ti consigliamo di riflettere attentamente sulle nostre considerazioni.
Velocità, accuratezza dei dati e loro combinazione sono i punti cardine su cui si gioca l’economia del futuro.