Ogni giorno aziende, organizzazioni e professionisti pubblicano immagini e video dove sono presenti volti di persone. Il volto è il punto di attenzione principale di ogni visitatore e potenziale cliente, come dimostrano molte indagini di neuromarketing. Tuttavia, spesso viene data poca importanza alle espressioni facciali dei volti ritratti, sottostimando così il ruolo che rivestono sul messaggio comunicato. Cosa osservare dunque? E come scegliere il volto giusto?
L’obiettivo di qualsiasi iniziativa di comunicazione deve essere stabilito in anticipo, e spesso coincide con un’emozione ben precisa da evocare.
Quando un’azienda ha un risultato da raggiungere (maggior engagement, più vendite, brand positioning…), deve riflettere su quale sia il veicolo emotivo che potrà condurre a quanto desiderato.
Se vendi soluzioni turistiche, ad esempio, e vuoi aumentare la portata del tuo messaggio, devi chiederti: “Attraverso quale emozione interesserò il mio pubblico?”. Queste potranno essere varie: curiosità, desiderio, benessere, relax e così via.
Il punto è che le immagini che dovrai scegliere per le tue campagne pubblicitarie dovranno comunicare ed evocare proprio quelle emozioni, e dovranno farlo non con le parole, naturalmente, ma principalmente con le espressioni del viso delle persone che deciderai di ritrarre.
Ecco perché le emozioni nel marketing sono di rilevanza fondamentale.
In questo articolo ti spiegherò brevemente cosa osservare dei volti, come si manifestano le emozioni universali nelle espressioni umane e come usare queste informazioni nelle tue campagne di comunicazione e marketing.
Il nervo facciale attivato direttamente dal tronco encefalico si dipana dal cranio ad una zona leggermente sotto l’orecchio e si dirama verso tutti i muscoli, proprio come un albero (vedi la figura a lato).
Il nervo facciale è qui responsabile di tutte le espressioni facciali spontanee e involontarie, che non possono quindi essere controllate.
Ti è mai capitato di non riuscire a controllare il tuo volto, tanto da rendere evidente cosa stavi provando senza nemmeno parlare? Ebbene, in questi casi la responsabilità è proprio del nervo facciale, che non può mentire dal momento che la sua attivazione è automatica e molto rapida.
Gli studi di neuroimaging effettuati con la risonanza magnetica funzionale (fMRI, Functional Magnetic Resonance Imaging), hanno identificato una piccola porzione del nostro cervello profondo responsabile dell’attivazione del nervo facciale: l’amigdala.
Grazie all’amigdala, quando camminiamo in un bosco e con la coda dell’occhio vediamo un serpente, subito scattiamo nella direzione opposta mettendoci in salvo, in una frazione di secondo, ancora prima di pensare e riflettere.
Sempre all’amigdala si deve l’attivazione sessuale di fronte a stimoli appetibili, rendendosi responsabile dunque anche dell’eccitazione fisica ed emotiva.
Da qui avviene la modulazione dell’emissione del cortisolo e di altri ormoni dello stress all’interno del circolo sanguigno, del battito cardiaco, della conduttanza cutanea e della respirazione, tutte modificazioni fisiologiche che vengono registrate e manifestate dal linguaggio del corpo e, attraverso il nervo facciale, del volto.
Tuttavia noi possiamo anche sorridere quando non ne abbiamo voglia, fingere di essere arrabbiati per rimproverare una marachella di un bambino, o di essere sorpresi e colpiti anche di fronte ad un regalo che crediamo in realtà essere del tutto inutile.
In questi e molti altri casi, il nervo facciale non viene attivato solo dal tronco encefalico, ma anche da tutta una serie di nervi che provengono direttamente dalla corteccia motoria, controllabili volontariamente.
Un sorriso finto, come qualsiasi altra finzione emotiva, provengono proprio da questa regione del cervello.
In questi casi, ad un occhio attento, non sfuggirà la finzione, a meno che non si sia di fronte ad un attore professionista che a comando può provare veramente l’emozione che vuole manifestare.
L’emozione simulata ha caratteristiche diverse rispetto ad una autentica e, ancora una volta, gli indizi sono rintracciabili sul proprio volto.
Le emozioni sono strettamente legate all’attivazione fisiologica e psicologica determinata da vari tipi di stimoli.
In termini neurobiologici, le emozioni potrebbero essere definite infatti come programmi d’azione complessi innescati dalla presenza di determinati stimoli esterni o interni.
Questi programmi d’azione contengono diversi elementi:
Connessi con quest’ultimo punto, ovvero con le valutazioni cognitive o significati che noi diamo alle cose che ci accadono, ci sono i sentimenti.
I sentimenti sono percezioni soggettive di programmi di azione emozionali.
I sentimenti sono infatti guidati da pensieri consapevoli e da riflessioni connesse a stimoli emotigeni.
Ad esempio, se la tenerezza suscitata da un bambino è l’emozione, il senso di protezione e di sensibilità che proviamo verso tutti i bambini è un sentimento che deriva dall’importanza che attribuiamo consapevolmente all’infanzia.
Gli stati d’animo sono stati ancora differenti.
Possiamo definirli come stati soggettivi generalmente meno intensi degli stati emotivi ma che durano a lungo.
Se le emozioni infatti hanno breve durata, generalmente in modo direttamente proporzionale alla loro intensità, gli stati d’animo vengono registrati come una nota di fondo, spesso generati dalla struttura della propria personalità, dalle caratteristiche individuali o, ancora, da avvenimenti di una certa portata.
Riassumiamo con un esempio: una persona si sente attratta da un’altra, e quando la vede (o la sente, o la immagina, o pensa a lei) avvertirà un’emozione.
L’innamoramento vero e proprio viene chiamato sentimento, e si innesca quando la persona amata che attiva i circuiti emozionali diventa importante, viene osservata e conosciuta in vari aspetti che generano non solo reazioni immediate, ma che nutrono la relazione stessa.
Da innamorati ci si sente più contenti, vale a dire si avrà uno stato d’animo generalmente più alto e ben disposto.
Come tutti sappiamo, nella comunicazione pubblicitaria vale la regola della velocità: un’immagine deve saper colpire l’attenzione nel più breve tempo possibile, al fine di suscitare un’attivazione fisiologica che spinga chi guarda a mantenere viva l’attenzione; questo è valido specie all’interno di contesti – come il web – con una sovrabbondanza di stimoli.
Attivare emozioni deve dunque essere il tuo primo obiettivo.
A seguire dovrai lavorare affinché l’emozione possa essere anche elaborata cognitivamente e generare sentimenti; il brand positioning si basa proprio su questo.
Se infine, pensando al brand, riesci ad innescare anche stati d’animo nei tuoi clienti, puoi dire di aver fatto centro!
Hai presente quel centro benessere il cui solo pensiero ti fa star bene? O quella marca di pantaloni che quando indossi ti fa provare più sicurezza? Ecco, quelle sensazioni sono esempi di stati d’animo.
Gregory Bateson
Dobbiamo principalmente agli studi di Paul Ekman la classificazione delle emozioni universali, ovvero di quelle emozioni che in tutto il mondo ogni essere umano comunica con il volto nel medesimo modo.
Naturalmente gli stimoli di attivazione possono variare di cultura in cultura (la nostra paura vedendo un leone non corrisponde alla stessa emozione provata da un Masai nella medesima situazione), ma a prescindere dal cosa genera un’emozione, il come è lo stesso per tutti.
Ad ogni modo, conoscere l’espressione facciale di quelle che vengono considerate emozioni universali è un grosso vantaggio nell’ambito della comunicazione e del marketing, perché offre un vademecum rapido e vantaggioso per poter scegliere soggetti di comunicazione in linea con l’emozione che vogliamo innescare.
Le emozioni universali sono sette, che adesso brevemente ti elencherò spiegandoti come puoi rilevarle sul volto degli altri.
La felicità è un’emozione primaria e universale che si manifesta con una sensazione diffusa di benessere.
Fisiologicamente l’aumento dell’attività muscolare e del battito cardiaco rende la persona più vivace, la pelle del volto appare più tonica, distesa, rosea e irrorata, motivo per cui chi è felice appare con un volto più armonico, sovente definito con aggettivi che ruotano attorno al concetto di bellezza.
Quando si è felici, la fronte infatti è distesa e lo sguardo appare brillante e gioioso.
Il sorriso di vera felicità fa sollevare le palpebre inferiori fino a formare delle piccole rughe attorno agli occhi. Le guance si sollevano, la bocca si stira e si sollevano gli angoli. Le labbra possono rimanere morbidamente chiuse per esprimere un sorriso di piacere o contentezza, oppure possono aprirsi sempre di più a seconda dell’intensità dell’emozione provata.
La voce è squillante e armoniosa.
Quando usare questa espressione facciale nel marketing?
Quando il proprio prodotto e servizio deve condurre a gioia ed armonia nel momento in cui viene scelto e usato. I campi e gli esempi sono praticamente infiniti.
La rabbia è una reazione biologica che prepara l’individuo ad agire per difendersi quando viene attaccato.
Questa reazione modifica rapidamente alcune attività fisiologiche: il battito cardiaco aumenta così come la pressione sanguigna, i muscoli si tendono e si contraggono e aumenta la sudorazione.
Questa emozione molto intensa stravolge completamente la nostra capacità di controllo, così come modifica fortemente i tratti del viso. È consuetudine comune cercare di controllare la rabbia per la paura delle conseguenze che potrebbero derivarne una volta manifestata.
Nell’espressione della rabbia, la fronte si contrae formando delle rughe verticali tra le sopracciglia, che si abbassano e si avvicinano. Anche le palpebre si avvicinano restringendo così l’apertura oculare: la palpebra superiore è spinta in giù dal movimento delle sopracciglia e quella inferiore è sollevata.
Lo sguardo diventa fisso, diretto, e gli occhi, stretti tra le palpebre tese, fissano in maniera dura e penetrante l’altro.
Quando usare questa espressione facciale nel marketing?
Ad esempio, quando il proprio prodotto e servizio serve per reagire contro una frustrazione o un’ingiustizia. Evocare la rabbia è un buon veicolo per rappresentare le proprie soluzioni, ma attenzione ad evocare anche le sensazioni positive generate dalla scelta.
Attenzione: l’uso di questa emozione nella comunicazione è molto delicato ed è da usare sapientemente, perché evoca un’emozione forte e negativa.
La tristezza è un’emozione ben riconoscibile sul volto di un individuo in quanto ogni lineamento sembra essere rivolto verso il basso.
L’espressione tipica della tristezza è un segnale che mostra agli altri la propria fragilità e bisogno di aiuto.
Fisiologicamente, infatti, la persona triste si trova in uno stato di debolezza, con perdita del tono muscolare, riduzione del battito cardiaco, della pressione sanguigna e della risposta del sistema immunitario.
Le sopracciglia si avvicinano e si sollevano nella parte esterna facendo scendere anche l’angolo esterno delle palpebre superiori, che appaiono cascanti e circondate di rughe.
A volte le sopracciglia si avvicinano senza rialzarsi e la pelle della fronte si increspa, creando nella parte centrale delle strane rughe a forma di ferro di cavallo o di U rovesciata, che Darwin aveva definito il segno del lutto o l’omega melanconica.
Quando usare questa espressione facciale nel marketing?
Un esempio: quando occorre condurre chi guarda a mettersi nei panni di chi soffre, per offrire aiuti e soluzioni.
Attenzione: anche in questo caso la scelta deve essere molto attenta e ragionata, perché evoca uno stato negativo e debole.
L’espressione di paura che stravolge i tratti del volto è un segnale biologico che serve ad avvertire gli altri della presenza di una minaccia o di un pericolo e a richiedere il loro aiuto.
Fisiologicamente aumentano la pressione sanguigna e il battito del cuore; la pelle impallidisce in quanto il sangue defluisce verso le estremità deputate alla fuga; i peli si drizzano e compare sudore freddo; vi è inoltre un aumento della secrezione di adrenalina.
Le sopracciglia restano sollevate, ma si distendono e si avvicinano, e sulla fronte si creano lunghe rughe orizzontali.
Gli occhi si spalancano ancora di più (dando l’impressione di occhi sbarrati) e lo sguardo resta fisso in direzione di ciò che spaventa, oppure si muove velocemente. Nella paura si nota una contrazione delle palpebre inferiori, e spesso un’accentuata dilatazione delle pupille. La bocca resta aperta ma si tende, con gli angoli che iniziano a piegarsi verso il basso, mentre la forte contrazione delle labbra accentua i due solchi naso-labiali. Le narici si dilatano per permettere una maggior ossigenazione in caso di fuga.
Quando usare questa espressione facciale nel marketing?
Un esempio: quando il proprio prodotto o servizio può evitare problemi e danni. Si pensi ad esempio alle assicurazioni.
Attenzione: Anche in questo caso, inserisci nel messaggio anche immagini di emozioni positive (come ad esempio di gioia o soddisfazione) per rinforzare lo stato ottenibile a scelta effettuata.
Il disprezzo si mostra con un’espressione che crea separazione; la sua mimica facciale manifesta un segnale di netta opposizione e di rifiuto verso una persona o un comportamento sociale.
Il disprezzo è, infatti, un segnale biologico atto a indicare senso di superiorità e distanza; può modificare il ritmo respiratorio e rendere irregolare il battito cardiaco.
Questa emozione fa assumere al volto un’espressione particolare, che spesso assume i connotati di un atteggiamento provocatorio di aperta sfida.
Nell’espressione di disprezzo può essere osservato un innalzamento pronunciato di un solo sopracciglio – il “sopracciglio sprezzante” – con la conseguente creazione di rughe concentriche al di sopra di esso e/o il sollevamento di un labbro da una sola parte.
Quando è così, l’angolo della bocca, sollevandosi, provoca l’innalzamento della guancia, movimento che a sua volta genera delle rughe sul lato esterno dell’occhio. Il disprezzo è un’emozione abbastanza semplice da riconoscere in quanto è l’unica a manifestarsi in modo asimmetrico sul volto: se il sorriso sincero, così come la rabbia o la tristezza, interessano entrambi i lati della bocca in modo simmetrico, il disprezzo farà attivare solo uno di essi.
Quando usare questa espressione facciale nel marketing?
Per tutto ciò che deve comunicare alterigia e superiorità, o una posizione più elevata rispetto a qualcosa che viene considerato disprezzabile.
Attenzione: l’uso di questa emozione deve essere molto ragionato e, mai come in questo caso, occorre avere una conoscenza della propria buyer persona davvero profonda.
Il disgusto si è evoluto per mantenerci lontani dagli odori di cibi avariati, o che non nutrono, o che vengono percepiti come nocivi.
La mimica che ne deriva, con la bocca rovesciata verso il basso, comunica agli altri il desiderio di espellere quella sostanza, mentre il naso che si arriccia, quasi a chiudere le narici e allontanarsi, indica che anche l’odore emesso è sgradevole.
Questa reazione di ripugnanza modifica il ritmo respiratorio e altera il battito cardiaco, rendendolo irregolare. Naturalmente si può essere disgustati da un cibo e da un’odore, tanto quanto che da una persona o da un’idea: lo stimolo è diverso, ma la reazione può essere identica.
Le sopracciglia si abbassano e si avvicinano creando rughe verticali sulla fronte, mentre le palpebre si alzano producendo rughe alla radice del naso e agli angoli esterni degli occhi. Se si prova disgusto olfattivo la bocca si solleva, quasi per impedire all’odore nauseante di raggiungere il naso, e il labbro superiore si contrae.
Quando usare questa espressione facciale nel marketing?
Come nel caso della paura, possiamo usare il disgusto nei messaggi comunicativi che devono condurre ad una identificazione rispetto a ciò che si vuole evitare, o tenere lontano. Molto utilizzata nella comparazione, del tipo “prima” e “dopo”.
In ultimo, la sorpresa, una delle emozioni ad insorgenza e durata più rapida.
La sorpresa nasce quando ci si trova di fronte a una situazione o ad un evento inaspettati.
Prima che il corpo abbia il tempo di reagire con l’avvicinamento o con la fuga, l’espressione di sorpresa appare in una frazione di secondo sul volto e dura pochi istanti.
Subito dopo, infatti, la mente avrà valutato se ciò che ci ha colto di sorpresa è una cosa piacevole oppure se è sgradevole o pericolosa; la mimica del volto si trasformerà, allora, mostrando una nuova espressione, che potrà essere di gioia o di paura.
L’emozione legata allo stupore che ci tiene in “sospensione”, in attesa di capire; fisiologicamente fa aumentare il battito cardiaco e modifica il ritmo del respiro. Ad una iniziale inspirazione segue infatti un’apnea, una sospensione del respiro; poi la respirazione continua superficialmente in attesa della risposta allo stimolo ricevuto. Da qui l’espressione del rimanere “con il fiato sospeso” o del “tirare un sospiro di sollievo”.
Nella mimica della sorpresa le sopracciglia si alzano, si allontanano e si curvano, formando delle lunghe rughe che seguono la linea delle sopracciglia stesse. Gli occhi si spalancano “per vederci meglio”: la palpebra superiore è così sollevata da scoprire un po’ di sclera. Gli occhi sono “sgranati” e lo sguardo resta fisso in direzione dell’oggetto o della situazione che ci ha colto di sorpresa.
La bocca si dischiude e assume una forma ovale quando la sorpresa è molto forte.
Da qui l’espressione di essere rimasti “a bocca aperta”.
Quando usare questa espressione facciale nel marketing?
Si tratta di un’emozione molto utile se si vuole colpire l’attenzione, specie nei formati video. Attenzione che sia molto breve: la sorpresa che dura più di un secondo, è un’espressione falsa.
Innanzi tutto occorre dire che gli esseri umani elaborano le informazioni visive in misura molto maggiore rispetto ad altri sensi: potremmo essere altrettanto eccitati ed emozionati guardando un video di un giro sulle montagne russe di quando lo facciamo realmente.
Inutile dire che i contenuti multimediali digitali coinvolgenti, i videogiochi e le interfacce software costituiscono una nuova generazione di stimoli visivi che suscitano risposte facciali specifiche e importanti da analizzare.
Un secondo motivo è rappresentata da una caratteristica umana universale chiamata facial mimicry, o mimetismo facciale.
Questa nostra abilità, che condividiamo anche con alcuni altri mammiferi, consiste nella tendenza a riproporre involontariamente un’espressione quando la vediamo.
L’empatia, ovvero l’abilità di captare le emozioni dell’altro come se fossero le proprie, deriverebbe anche da questo fattore: la percezione delle espressioni facciali emotive attiverebbe quindi i muscoli facciali corrispondenti nel ricevitore.
Grazie a numerose ricerche in cui si presentano delle foto e dei video di espressioni emotive, si è visto che il mimetismo facciale dipende molto dal contesto e dal tipo di espressione facciale.
La ricerca mostra che la tendenza ad imitare le emozioni fondamentali si concentra principalmente sulla felicità, per una questione fondamentalmente affiliativa.
La mimica delle espressioni tristi invece è meno intensa probabilmente perché potrebbe implicare costi personali. Le espressioni di rabbia diretta sono invece le meno imitate, probabilmente perché la rabbia comunica minaccia e aggressività.
Un terzo motivo è rappresentato dal fatto che, specie per alcune emozioni, noi siamo biologicamente programmati al riconoscimento dell’autenticità o della falsità.
In una mia ricerca dello scorso anno ho raccolto dei dati che mi hanno restituito un potente risultato: ho mostrato a centinaia di persone di ogni età, dai 18 ai 60 anni, di genere e nazionalità diverse, quattro espressioni facciali usate nel marketing, dove però una sola era autentica (le altre 3 sono state evidentemente scelte senza attenzione da parte del brand di riferimento).
Oltre l’80% delle persone ha riconosciuto correttamente l’espressione più vera.
Questo non vale per tutte le emozioni, ma principalmente per qualcuna, tra cui la felicità.
Ti mostrerò i dati in un’altra occasione, ma ciò che è importante da capire è questo: siamo già biologicamente preparati a riconoscere la vera felicità da quella finta, a riconoscere un sorriso sincero da uno ipocrita. E se un sorriso sincero ci fa sentire in un certo stato, quello falso ci proietta in tutt’altro mondo, nella vita di tutti i giorni come nelle scelte di consumo.
Hai presente quando riesci a stare in compagnia di una persona felice per qualche minuto?
Non ti senti forse bene anche tu?
Ecco, la stessa cosa accade guardando immagini o video significativi da questo punto di vista, sempre tenendo conto che il tuo brand (o prodotto, o servizio) susciterà interesse e verrà ricordato solo nella misura in cui farà provare emozioni. Emozioni che per comunicare in modo efficace, naturalmente, devono essere vere.
I campi di applicazione in ambito marketing, di analisi e di test, che ruotano intorno al tema delle espressioni facciali sono diversi, e qui ne elencherò qualcuno.
Ormai non c’è alcun dubbio, e anche gli imprenditori affezionati ai dati numerici si sono resi conto che la valutazione qualitativa relativa alle preferenze del consumatore è un elemento critico nel marketing e nella costruzione di una comunicazione persuasiva.
Mentre con i questionari ed i sondaggi si possono valutare le idee del consumatore, le sue emozioni non emergono in alcun modo, così come non emergono le sue attitudini, i suoi desideri e bisogni, tutti elementi catturabili grazie all’analisi delle risposte emozionali.
Qui risiede il valore dell’analisi delle espressioni facciali: tracciare le espressioni facciali de visu o attraverso foto o video, può rappresentare l’indizio e il report più completo per conoscere realmente ciò che muove il cliente, e lavorare così su un messaggio per lui desiderabile.
Attraverso il volto possiamo raggiungere indizi ed informazioni profonde da integrare nelle strategie di marketing.
Nella ricerca qualitativa, individui e gruppi vengono esposti a stimoli pubblicitari, trailer, spot, video o immagini.
Se si sono generati due tipi di comunicazione, sarà il pubblico a stabilire quale potrà avere più successo facendo questo genere di test, partendo dal presupposto che il consumatore ricorderà ciò che lo ha emozionato, tutto il resto no.
Ma come condurre questa analisi? Chiedendo forse alla persona testata “quale ti piace di più?”.
Assolutamente no: lo comprendiamo attraverso l’osservazione del suo volto.
Il nostro volto non mente, mentre le parole possono farlo.
Pensiamo all’imbarazzo che possono suscitare alcune dichiarazioni e alcune scelte: in questi casi il volto potrebbe contraddire le parole.
Idealmente, la navigazione all’interno di un sito dovrebbe essere u’esperienza piacevole, dove la frustrazione e la confusione dovrebbero comparire il meno possibile.
Sviluppare una piattaforma realmente “emotionally friendly” richiede il monitoraggio dell’espressione facciale dei tester mentre visitano il sito o utilizzano un software prima del lancio.
Laddove si osserveranno alcuni nodi emozionali – come segni di rabbia, noia o confusione – occorrerà operare per ridurre le fonti di stress e di tutte le espressioni negative.
Sempre di più, robot ed avatar vengono costruiti e programmati per rispondere ai comandi dei loro users attraverso comunicazioni dirette o per mezzo di mouse e tastiera.
Le più recenti scoperte nella tecnologia moderna evidenziano una netta tendenza ad usare e ad affezionarsi a dispositivi di intelligenza artificiale quando questi manifestano o sembrano rispondere in modo emotivo ed appropriato ai bisogni impliciti del consumatore.
Se hai mai provato a rivolgere una domanda retorica a Siri o a fare un commento sulle sue capacità, sai di cosa sto parlando.
Ho volontariamente relegato questo punto all’ultimo posto, non certo perché sia il meno importante ma perché ne parleremo in occasione dei corsi dedicati alle microespressioni facciali e alla comunicazione non verbale.
Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1977.
Darwin C., L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, a cura di P. Ekman, Bollati Boringhieri, Torino 1999.
Ekman P., Giù la maschera, Giunti, Firenze 2007.
Ekman P., I volti della menzogna. Gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali, Giunti, Firenze 2009.
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Ekman P. e Friesen W., Facial Action Coding System: A Technique for the Measurement of Facial Movement. Consulting Psychologists Press, Palo Alto, 1978.
Guglielmi A., Il linguaggio segreto del volto, Piemme Edizioni, Milano, 2012.
Kandel E.R., Schwartz J.H., Jessel T.M., Principi di neuroscienze, Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 1994.
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Watzlawick P., La prospettiva relazionale, Astrolabio, Roma 1978.
Ogni emozione, come abbiamo brevemente visto, ha delle sue caratteristiche tipiche, e saperle riconoscere nel nostro interlocutore rapidamente, insieme alla comunicazione del corpo, equivale ad una lettura più profonda di stati d’animo, reazioni, timori e bisogni reali.