L’economia comportamentale: principi, metodi e marketing

Silvia Salese

Pubblicato da Silvia Salese

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L’economia comportamentale è di fondamentale importanza quando si desidera condurre i propri interlocutori a compiere una scelta o a un’azione semplificando il percorso di offerta delle informazioni e massimizzando l’efficacia della comunicazione. Spesso i messaggi utilizzati sono senza parole, si rivolgono all’emotività umana e agli errori che compie la mente conscia, sono gradevoli e possono far fare cose interessanti, positive e benefiche per se stessi e per gli altri. Curiosi?

Il primo e più grosso interesse di chi si occupa di comunicazione e marketing è quello di capire quali sono le dinamiche psicologiche sottese al comportamento dei consumatori. La consapevolezza che la razionalità non è sempre il predominante elemento dietro alle scelte e ai comportamenti dell’essere umano è ormai un punto assodato. È anzi vero il contrario.

Il comportamento umano è soggetto a molti errori, percezioni automatiche e illusorie, dinamiche illogiche e bias cognitivi (vedi ad esempio il mio articolo Le 7 lezioni della psicologia dei consumi e del neuromarketing).

Questi “fattori umani”, che mostrano il perché siamo molto lontani dal funzionare come una macchina, sono proprio l’oggetto di studio dell’economia comportamentale, una branca dell’economia che non ritiene affatto infallibile il pensiero umano e che indaga quanto e come tali limiti influenzino le decisioni individuali e gli esiti del mercato.

 


I punti chiave dell'articolo:

  • L'economia comportamentale: di cosa si tratta e perché è fondamentale conoscerne i principi. Studiare il comportamento umano per sviluppare strategie di marketing efficaci.
  • Razionalità limitata, mancanza di autocontrollo, relativismo e framing: questi gli aspetti umani che l'economia comportamentale studia e per i quali offre spiegazioni importanti.
  • Gli elementi di una corretta strategia di marketing che sfrutta le evidenze dell'economia comportamentale.

 

Tra i meriti dell’economia comportamentale c’è indubbiamente quello di offrire spessore e rilevanza scientifica a fenomeni che tutti noi viviamo sulla nostra pelle, chi più chi meno, permettendoci quindi di conoscere in modo serio e sistematico il funzionamento della nostra mente, e con essa quella dei nostri clienti, reali e potenziali. Ci permette inoltre di comprendere quali siano gli elementi che rendono l’individuo più o meno irrazionale e, di conseguenza, quali sono i fattori in gioco nel renderlo maggiormente consapevole.

Dall’economia comportamentale è nata naturalmente una nuova prospettiva nella comunicazione e nel marketing, il marketing comportamentale appunto. Esso ci mostra essenzialmente quanto sia cambiato il rapporto delle aziende con i clienti.

 In questo articolo ci occuperemo di:

 

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Economia classica e comportamentale: econ e human a confronto

Il portavoce forse più noto dell’economia comportamentale è Richard Thaler, economista americano, vincitore del premio Nobel per l’economia comportamentale nel 2017 e, soprattutto, uomo con tante domande.

Una delle principali suonava più o meno così: “Perché le persone fanno spesso cose molto ingenue quando con pochissimo impegno e sforzo potrebbero trarre maggiori profitti?”.

La domanda presuppone un’evidenza, ovvero che sovente le persone non operino realmente per il loro interesse ma che si lascino andare a comportamenti meccanici e poco virtuosi. Questa considerazione è molto diversa da quanto l’economia in passato rappresentava nelle sue descrizioni dell’essere umano.

Alla base dei modelli economici classici, infatti, si suppone la presenza di un agente economico, chiamato Homo Economicus, che renderebbe dinamiche le scelte in ambito economico. È grazie a questo soggetto che l’essere umano potrebbe fare un sacco di cose intelligenti e profittevoli. Secondo questa visione, tale agente svolge alcune funzioni:

  1. Massimizza in modo ottimale l’utilità attesa, cioè sceglie sempre l’alternativa migliore
    tra quelle disponibili dopo averle valutate
  2. Aggiorna le sue informazioni sulla base di un approccio logico-razionale. In base a questo principio, l’agente economico si rende sempre conto della modifica delle circostanze economiche in cui si trova ad operare e modifica conseguentemente il proprio comportamento nella misura in cui questo gli possa permettere di adeguarsi
    alle nuove circostanze
  3. È egoista, ovvero ricerca il meglio per sé e non è soggetto a condizionamenti emotivi quando deve operare una scelta
  4. Reagisce agli incentivi dopo aver valutato i benefit e comparato le alternative
    a disposizione
  5. Rende funzionale l’uso della parola e della logica al fine dell’analisi della posta in gioco. Ama i grafici. Non è soggetto a condizionamenti sociali quando deve compiere scelte in ambito finanziario o commerciale

Sappiamo molto bene che non è così naturalmente, o almeno non sempre. Spesso intervengono logiche che sfuggono quasi completamente all’archetipo sopra delineato, e sono proprio queste logiche (poco logiche in realtà) ad essere l’oggetto di studio dell’economia comportamentale.

Sostanzialmente, l’economia comportamentale aggiunge elementi importanti alla teoria economica tradizionale riguardo il comportamento degli individui.

Alcuni di questi elementi ben caratterizzano i limiti innati dell’individuo alle prese con una scelta di condotta, consumo o valutazione.

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La razionalità limitata

Il principio della razionalità limitata ci spinge a riflettere su una questione di basilare importanza: siamo così sicuri che la ragione venga attivata per prima di fronte
alle scelte economiche?

Per semplificare le nostre decisioni finanziarie tutti noi elaboriamo una nostra personale contabilità mentale (mental accounting) strutturata a compartimenti stagni. In linea puramente teorica, 100 euro hanno sempre lo stesso valore, indipendentemente dal fatto che siano un regalo o il nostro stipendio.

Nella pratica, però, nella nostra mente abbiamo tanti cassetti separati. Quando dobbiamo prendere una decisione, la incaselliamo in un singolo cassetto e ci focalizziamo sul suo impatto individuale, invece di immaginare quello complessivo.

Nella nostra contabilità mentale, ad esempio, guadagni e perdite non hanno lo stesso valore.

Cerchiamo sempre di evitare le perdite, che ci provocano una sofferenza molto più grande della soddisfazione di aver ottenuto qualcosa che prima non avevamo.

Da qui, ad esempio, l’uso spesso funzionale delle offerte a scadenza; spesso non significa sempre naturalmente. Nel marketing non esistono strumenti e metodi che vanno bene in ogni caso per tutti i prodotti, servizi e clienti.

Ma l’avversione alla perdita talvolta supera il desiderio di ottenere un beneficio, per cui la promozione “solo per i primi 5 clienti” potrebbe performare meglio di una promozione “unica nel suo genere” o che “ti farà guadagnare 5 punti fedeltà”.

 

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La mancanza di autocontrollo

La mancanza di autocontrollo risponde alla domanda (una tra molte): perché ci ripromettiamo di risparmiare per la vecchiaia, o di intraprendere uno stile di vita più sano, e poi non riusciamo a restare fermi nei nostri propositi?

Il motivo, secondo Thaler, risiede proprio nella mancanza di autocontrollo.

Proprio per affrontare questa mancanza di autocontrollo, Thaler ha coniato il termine di spinta gentile (nudge), termine che è diventato il titolo alla sua opera più celebre scritta insieme a Cass Sunstein.

L’economia comportamentale afferma senza esitazione che le persone possono avere accesso a tutte le informazioni necessarie per fare la scelta migliore in assoluto, ma che poi spesso sbagliano.

Perché?

Perché spesso gli esseri umani vengono influenzati dal contesto, fenomeno che in gergo viene detto framing (letteralmente, la “cornice” dentro cui quelle informazioni vengono presentate e che vedremo a breve).

Se è davvero così, è possibile anche sfruttare questo fenomeno a fin di bene, cercando di indirizzare le persone verso le scelte più ragionevoli. E quali leve utilizzare a tal fine?

Una di queste è la promessa immediata di una ricompensa, che può essere rappresentata da un’emozione positiva come il divertimento, o dalla soddisfazione di una curiosità o di un desiderio. Facciamo qualche esempio.

Una delle più conosciute promesse non mantenute tra i fumatori è quella di diminuire il loro personale consumo di sigarette. Spesso tra loro ci si convince infatti degli effetti negativi del fumo sulla salute, ma si dimenticano velocemente insieme ai propositi ad essi collegati.

Una buona campagna sul tabagismo è quella ideata da una compagnia di assicurazione sanitaria tedesca. Tale campagna sfrutta la curiosità stimolata dalla particolarità del posacenere a forma di polmoni (che si presume debba essere usato dai fumatori che passeranno davanti ad esso) per dare una comunicazione immediata, senza parole.

Come vedete, l’obiettivo è percepibile in modo immediato ed è raggiunto dallo stimolo all’azione dettato dalla necessità e dalla curiosità per la forma e il concept insolito.

 

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Per rimanere sul medesimo prodotto, un altro inconveniente cui conduce il fumo da sigaretta sono i mozziconi buttati per terra, pericolosi se intercettati dai bambini, anti-igienici, inquinanti, anti-estetici.

Come fare?

Nuovamente il nudging, ovvero l’uso del nudge per ottenere determinati output, può rappresentare una soluzione. Ecco un ingegnoso tabellone in un parco particolarmente frequentato da fumatori incuranti dell’ambiente.

Per votare il miglior giocatore del mondo semplicemente bisognerà fare attenzione a non perdere il proprio mozzicone e fare la propria parte (in modo semplicissimo), accrescendo anche il punteggio della star preferita.

 

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Il relativismo

Il relativismo chiarisce una questione interessante: perché spendiamo una fortuna per i cerchi in lega e poi facciamo la raccolta punti al supermercato?

Come scontato, nella vita tutto è relativo: non esiste il valore assoluto di una cosa, di una situazione o di un’esperienza.

Ad esistere, spesso senza replicabilità, è il valore che noi assegniamo a quella cosa o a quella situazione rispetto ad un punto di riferimento o ad un evento passato, per confronto
e analogia.

Se immaginiamo di trovare in un vecchio baule in soffitta il pennello con il quale Leonardo ha dipinto la Gioconda, ci si porrà davanti un bel dilemma. Pensando che valga una fortuna naturalmente, vorremmo venderlo. Ma per quanto? Un milione di euro? Dieci? Cento? Non c’è nulla a cui il pennello si possa paragonare, e quindi non avremmo la più pallida idea di quale potrebbe essere un prezzo giusto.

 

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È per questo che per assegnare un valore abbiamo bisogno di un punto di riferimento, e questo nel marketing e nella comunicazione è arcinoto.

Ci ricorda il meccanismo delle offerte speciali: ti propongo oggi a 80 per un periodo limitato quello che fino a ieri costava 100 (punto di riferimento). È un meccanismo che spesso funziona perché, anche se non conosciamo il vero valore della cosa (che infatti in realtà potrebbe valere solo 50), pensiamo che pagando il prezzo scontato di oggi non si possa sbagliare di molto.

Ancora: ipotizza di scoprire che oggi hai sul conto corrente la stessa somma (100.000 euro) del tuo amico Agostino. Secondo l’economia convenzionale, tu ed Agostino dovreste essere ugualmente soddisfatti, se non fosse che un mese fa tu avevi sul conto 200.000 euro, mentre Agostino ne aveva solo 50.000.

L’economia comportamentale ci suggerisce dunque che tu non sarai soddisfatta o soddisfatto per niente, anzi, sarai fuori di te, perché hai perso soldi sia rispetto al tuo punto di riferimento individuale (200.000 euro) sia rispetto al tuo punto di riferimento sociale (avere quattro volte i soldi di Agostino).

Ancora: Mario ha trovato per terra due biglietti da 10 euro ma, arrivato a casa, ha scoperto di averne perso uno. Il risultato netto è comunque che Mario ha 10 euro in più. Partendo da questa constatazione, per la teoria economica convenzionale il livello di utilità e soddisfazione che deriva a Mario dalla passeggiata dovrebbe essere lo stesso che avrebbe se avesse trovato una sola banconota da 10 euro (senza perderla). Dovrebbe quindi essere comunque contento.

Ma è davvero così? No, almeno per Mario, che si è lasciato andare a qualche improperio verso se stesso, per aver perso 10 dei 20 euro che aveva appena trovato e che erano già diventati il suo punto di riferimento.

Ma c’è un esempio che è normalmente molto esemplificativo del principio di relativismo per l’economia comportamentale, dove possiamo ritrovarci tutti benissimo.

Immaginiamo ora di dover comprare una penna. Arrivati al negozio, ne vediamo una che ci piace in vendita a 50 euro. Stiamo per comprarla, quando ci ricordiamo di aver visto la stessa penna in vendita a 40 euro in un altro negozio a circa 100 metri di distanza. Naturalmente usciamo, e facciamo volentieri 100 metri in più per risparmiare 10 euro.


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Il giorno successivo dobbiamo fare un acquisto più impegnativo: un completo elegante per il lavoro. In un centro commerciale troviamo proprio il completo blu che abbiamo in mente, ma a 500 euro. Del resto si sa, la qualità si paga. Ma mentre andiamo a provare il vestito, ricordiamo che lo stesso vestito era in vendita a 490 euro in un grande outlet a soli 100 metri più in là. È probabile che diremo a noi stessi “Cosa vuoi che sia un risparmio di 10 euro su una spesa di 500 euro?” e che decideremo di non fare i 100 metri in più che servirebbero per risparmiare.

Strano? In un certo senso, sì. Eravamo pronti a fare 100 metri in più per risparmiare 10 euro sulla penna, ma non sul vestito.

La situazione è la stessa, ma la decisione è opposta. Tutto ciò è letteralmente inconcepibile per l’economia convenzionale (100 metri “valgono” sempre 10 euro, qualsiasi sia il prezzo del bene da acquistare), ma non lo è affatto per l’economia comportamentale, che ci offre invece una spiegazione semplice: 10 euro su 50 (la penna) sono il 20%, mentre su 500 (il vestito) sono un misero 2%. Non fa quindi molta differenza spendere 490 o 500 euro.

Sempre per lo stesso motivo, la relatività, compriamo un televisore nuovo quando cambiamo casa (“tanto ormai siamo in spese!”), quando non ci siamo decisi a comprarlo per tutti gli ultimi cinque anni. O non possiamo fare a meno di optional costosi come i cerchi in lega diamantati se acquistiamo un’auto nuova di un certo livello, e magari siamo gli stessi che facciamo meticolosamente la raccolta punti al supermercato per avere alla fine un mini frullatore
da pochi euro.

In pratica, il punto è che facciamo meno caso alle spese aggiuntive se stiamo già spendendo (perdendo) tanto. E per eliminare completamente la probabilità di perdite siamo disposti a (quasi) tutto.

 

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Il framing

Il principio del framing risponde ad un annoso quesito, ovvero: perché compriamo lo yogurt magro all’80% e non lo yogurt con il 20% di grassi.

Immaginate un ristorante con un grosso problema con la carta dei vini, un problema ricorrente e come vedremo risolvibile grazie all’economia comportamentale. Il problema risiede nel fatto che il ristorante propone nella sua lista il vino della casa ad un costo di 10 euro a bottiglia o una selezione di vini “di qualità” con prezzi che oscillano fra i 20 e 25 euro a bottiglia. Il problema è che nove clienti su dieci non ha dubbi: considerando gli altri vini troppo cari, prendono il vino della casa (sul quale il profitto del ristorante è quasi nullo).

Come può il ristorante uscire da questa situazione e risolvere il problema? È piuttosto semplice: gli basterà aggiungere una terza fascia di vini, la fascia dei vini “pregiati”, con prezzi che oscillano dai 35 ai 40 euro, per far sì che la maggioranza dei clienti ordini i vini da 20-25 euro.

 

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Come ha fatto? Semplice, ha usato il framing corretto.

Ma che cos’è il framing?

In pratica nell’economia comportamentale il framing è l’architettura del modo in cui si presentano le scelte possibili.

Quando il framing è realizzato correttamente riesce ad orientare chi deve scegliere verso la decisione desiderata dall'architetto, nell’esempio appena fatto il consumo di vini di qualità.

Potremmo dire che il framing è il contesto sapientemente creato dentro cui chi decide trova determinati punti di riferimento, ed ecco che torniamo al concetto di relativismo.

Ci sono diversi modi di realizzare un framing, ma i principali sono sostanzialmente due.

Il primo si chiama framing asimmetrico, che consiste nel modificare l’architettura delle scelte aggiungendo opzioni civetta che possano migliorare l’appetibilità della scelta che vorremmo che le persone facessero.

Nell’esempio dei vini, l’aggiunta di una fascia di vini pregiati molto cari ha l’effetto immediato di rendere ragionevoli i prezzi dei vini di qualità, anche da un punto di vista “sociale”: è provato infatti che se si è in compagnia vi è la tendenza a pensare che la scelta di una soluzione di prezzo medio possa essere considerata accettabile da tutti.

Dan Ariely, un brillante professore americano di economia comportamentale, fa l’esempio di un’offerta di qualche tempo fa per abbonarsi alla rivista The Economist. L’offerta prevedeva le seguenti opzioni:

  • Abbonamento alla rivista online – 59 dollari
  • Abbonamento cartaceo – 125 dollari
  • Abbonamento cartaceo e online – 125 dollari

 

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Da un sondaggio a cui hanno preso parte numerosi studenti del Massachussets Insitute of Technology è emerso che molte persone consideravano un vero affare la terza opzione: “La rivista online è praticamente gratis!”. Per verificare l’effetto del framing, lo stesso test è stato condotto con gli stessi studenti eliminando la seconda opzione “civetta” (il cartaceo a 125 dollari).

Eliminando quel (malizioso) punto di riferimento concettuale il risultato è stato diverso, e la maggioranza degli intervistati – come forse ci si sarebbe aspettati - ha scelto il più economico abbonamento online.

Il secondo modo di realizzare il framing è quello di aumentare la positività percepita della scelta che si vorrebbe che le persone facessero.

Nella vita di tutti i giorni, gli esempi si sprecano. Prendiamo il caso della polemica sull’utilizzo dell’olio di palma. Qualche tempo fa in Italia vi è stata una specie di sollevazione popolare nei confronti di quella che fino ad un attimo prima era considerata una delle poche eccellenze nazionali, un noto brand dolciario conosciuto e amato in tutto il mondo.

Motivo del contendere è stato proprio l’utilizzo dell’olio di palma, che farebbe male alla salute e in più favorirebbe la distruzione dell’ecosistema mondiale. In realtà l’olio di palma fa male alla salute come il burro, e certamente se consumiamo mezzo chilo di burro al giorno questo non è positivo per la nostra salute. Quanto all’ecosistema, i danni sono provocati da alcuni fornitori senza scrupoli che incendiano le foreste del Borneo per ampliare le coltivazioni, non certo dal brand in questione.

Comunque sia, la palla è stata presa al balzo dalla concorrenza, e sugli scaffali dei supermercati è stato un fiorire di creme spalmabili con etichette che in grande evidenza riportavano la dicitura “senza olio di palma”. Per molti clienti, è stato sufficiente questo.

Pochissimi “pentiti” del famoso brand si sono presi la briga, prima di acquistare i nuovi prodotti, di andare a controllare quali fossero gli altri ingredienti presenti, e se fossero tutti sicuri. Fatto sta che il brand in questione ha vinto in appello a Bruxelles la causa contro un altro brand, produttore di creme spalmabili che aveva fatto della dicitura “senza olio di palma”
la sua bandiera.

Secondo i giudici, questo secondo produttore ha fatto credere che la propria fosse migliore per la salute semplicemente perché priva di olio di palma, alterando il comportamento del consumatore. Un uso dunque manipolatorio dell’economia comportamentale a danno del concorrente, e dunque dei limiti di valutazione dei clienti.

 

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Questi esempi ci ricordano la ben nota interpretazione del “bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Spesso dunque si tratta di visioni (indotte) che comportano interpretazioni soggettive opposte tra loro.

Un altro esempio si ha quando la pubblicità di un prodotto riporta un’informazione corretta ma che potrebbe rimanere tale anche se fosse rovesciata. Immaginate che ci siano due produttori di yogurt X e Y che propongono due prodotti sostanzialmente identici, yogurt magri e quindi con una bassa percentuale di grassi (diciamo il 20%).

Il produttore Y vuole evidenziare nell’etichetta il livello contenuto di grassi, sperando che questo possa rendere più attraente il prodotto. Si tratta qui di una scelta sbagliatissima, come evidente: probabilmente nessuno comprerebbe uno yogurt con sopra riportato “solo il 20% di grassi”, specialmente se accanto si trova lo yogurt del produttore X.

La scelta giusta è proprio quella di quest’ultimo infatti, che riporta in grande evidenza sull’etichetta il fatto che lo yogurt è magro all’80%. Infatti la maggioranza delle persone preferisce X, nonostante i due prodotti siano sostanzialmente identici.

Perché? La ragione è piuttosto semplice, e consiste nella maggiore positività dell’etichetta X rispetto a un’etichetta Y che ci ricorda comunque la presenza di grassi (“Perché dovrei comprare uno yogurt grasso”?).

Un ragionamento ingenuo? Forse, ma così funzioniamo, e l’economia comportamentale lo ha compreso perfettamente.

 

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Economia comportamentale: come utilizzarla al meglio

La regola generale sottesa alla comunicazione è da sempre quella di comunicare con meno quantità possibile di informazioni ma nel modo più significativo possibile con quei pochi elementi. L’uso di immagini e richiami dall’alto potere semantico è una guida e una scommessa quotidiana per chi si occupa di marketing.

Ma dalla sua nascita, l’economia comportamentale ci offre numerosi elementi aggiuntivi, per rendere ancora più impattante il nostro lavoro e i risultati dei brand. Questi elementi sostanzialmente si fondano sui bias cognitivi e sulla direttività delle emozioni nell’essere umano.

Non siamo razionali, o meglio, in determinate condizioni lo siamo poco. Le condizioni che ci rendono poco logici sono molteplici e spaziano dalla fretta all’essere affamati, dal sovrappensiero alla disinformazione, dalle ambizioni personali ai pregiudizi.

In tutti questi casi – che ci rendono molto human e poco econ – le parole a volte contano poco mentre ad avere più valore sono le impressioni immediate, ciò che un’immagine può evocare in pochissimi istanti, specie se questa richiama ad un’azione.

Ecco una questione esemplificativa.

A tutti noi sarà capitato di usare un bagno pubblico e di trovare inviti a sprecare il meno possibile i tovaglioli di carta per asciugarsi le mani accanto ai lavandini.

I motivi soggiacenti all’importanza di non sprecare sono moltissimi, e diversi di questi vengono letteralmente “scritti” su fogli di carta in prossimità dei dispenser. Ma ecco, proviamo ad immagine uno di questi con tali intelligenti spiegazioni:

NON SPRECARE LA CARTA

  1. Spreca il meno possibile
  2. Quando ti asciughi le mani, scuoti entrambe le mani per eliminare più acqua possibile
  3. Parola d'ordine: differenziare
  4. Fai attenzione ai gesti automatici. Un piccolo gesto da parte di tutti salva foreste intere
  5. Prediligi sempre la carta riciclata
  6. Sappi che è sempre meglio la stoffa e il riuso
  7. Evita quanto più possibile gli imballaggi
  8.  Sensibilizza anche gli altri
  9. Ricordati sempre di dare il buon esempio

Molto probabilmente, al terzo punto ci saremo però già volatilizzati, anche perché a quel punto avremo già strappato senza pensarci i fogli di carta per noi necessari per asciugare le mani (normalmente in quantità eccessiva rispetto all’effettivo bisogno). Ma ecco cosa ha fatto WWF in una campagna di sensibilizzazione per l’America Latina.

Pochissime parole di invito, uso del colore e delle forme a forte valore semantico.

Questo è un esempio emblematico di come funziona il nudging: spingere le persone a determinate azioni attraverso i significati evocati da un’immagine, un dispositivo o
una situazione.

Il nudge può comportare anche una risistemazione degli spazi per stimolare comportamenti maggiormente virtuosi, ad esempio a tavola. Se volete stimolare scelte più salutari, metterete in primo piano frutta e verdura rispetto ai dolci, e darete più risalto al pane integrale e all’acqua rispetto alle bibite zuccherate o ai prodotti da forno più calorici.

In Italia si occupa dell’argomento l’Università Bicocca di Milano, che ha riorganizzato le proprie mense proprio con la strategia dei nudging, ossia con spintarelle gentili introdotte per influire sui comportamenti e sulle scelte del singolo individuo. Alla mensa universitaria è stato dunque introdotto un principio: in primo piano i prodotti salutari, resi più evidenti tra le scelte del menu con bollini che riportano la scritta So Good (nell’immagine:La spiegazione dell’iniziativa e del bollino. Nel menù sono indicate le pietanze più salutari.

Il percorso è stato fatto in modo che si arrivi all’area frutta e verdura il prima possibile. Nella linea fredda, i dessert confezionati sono stati separati dalle insalate e resi meno visibili; vicino ai vassoi, si trova il pane integrale. Le bibite gassate sono state nascoste dall’acqua.

Il tutto è stato creato per stimolare negli utenti scelte più sane e cibi più equilibrati, con una dieta varia. Non secondario è lo scopo della riduzione degli sprechi alimentari, come uno dei primi esempi offerti da Google Cafeteria, che ha semplicemente diminuito la dimensione dei piatti per diminuire lo spreco con la quantità di cibo avanzata e gettata via.

Dunque che fare? L’argomento merita di certo altri approfondimenti, ma possiamo per praticità trarre alcune conclusioni.

L’economia comportamentale ci mostra ancora una volta i principi sottesi alla scelta con cui chi si occupa di comunicazione e marketing deve fare i conti. Riassumendo, gli elementi di attenzione dovrebbero essere pochi ma ben focalizzati, e tenere conto dei seguenti punti per una progettazione comportamentale funzionale:

Allineare gli incentivi ai comportamenti desiderati

L’incentivo offerto dall’immagine, dalla situazione o dall’esperienza deve essere studiato immaginando a priori quale sia il comportamento che si desidera ottenere.

Se vogliamo che le persone mangino più mele rispetto alle torte al cioccolato, dovremo operare su entrambi gli stimoli, ma direzionando la nostra architettura molto chiaramente verso ciò che desideriamo ottenere, cercando di studiare il comportamento del consumatore passo
dopo passo.

Fornire un feedback chiaro, visibile e immediato per rafforzare le azioni desiderate

Così come a nessuno piace fare sforzi senza la promessa di un premio, nello stesso modo a nessuno piace compiere azioni senza comprendere quali siano le conseguenze di queste ultime. Il feedback è di importanza strategica al fine di rinforzare l’azione compiuta e portarla a termine.

Il differimento della comprensione di quanto agito non è una buona strategia in quanto non offre un elemento compensatorio. Si pensi al dispenser di WWF e ai livelli di “disboscamento” dell’America Latina: quanti avrebbero piacere di constatare di essere stati responsabili anche solo di un decimo di discesa del livello verde?

Semplificare e strutturare le scelte quando i parametri decisionali sono complessi

Il processo decisionale può essere considerato come il risultato di processi cognitivi ed emozionali che determinano la selezione di una linea d’azione tra diverse alternative, producendo una scelta finale.

Prendere delle decisioni di solito richiede la valutazione di alcune opzioni che differiscono rispetto a diverse caratteristiche ed elementi, intrecciate in maniera complessa e mettendo alla prova l’elaborazione delle informazioni e le proprie strategie decisionali.

Nella maggior parte dei casi prendere decisioni significa ragionare in condizioni di incertezza, prendere in considerazione la stima probabilistica degli esiti e fare tutto questo nel poco tempo a disposizione. Per tale ragione, semplificare la complessità della valutazione di una scelta consente di far prendere una decisione in modalità più rapida.

Come per l’Università Bicocca, un conto è spiegare il come e il perché di un’alimentazione sana, un altro conto è aiutare le persone con bollini e percorsi per compiere la scelta più salutare.

Rendere gli obiettivi e lo stato delle prestazioni chiaramente visibili

Nel percorso che conduce dalla scelta all’esito della prestazione, abbiamo necessità di comprendere in modo chiaro a che punto siamo e come sta performando la nostra azione. Fornire la possibilità di rendersi conto della funzionalità (o meno) del percorso di organizzazione e conduzione delle azioni, consente di pilotare con più efficacia i dati cognitivi a disposizione e a tradurli in pratica con maggiore efficacia.

Dunque per chi si occupa di marketing emergono (e ri-emergono) parole chiave conosciute, seguendo metodi e concetti forse diversi: usabilità, customer journey, semplificazione, feedback, ma ne aggiunge un’altra affatto banale: conoscenza del comportamento umano.

È un viaggio interessante e spesso sorprendente, che inizia dalla curiosità e talvolta dalla necessità di meglio comprendere quelle creature squisitamente umane che si addentrano in foreste irte di stimoli, pericoli ed ingenuità ma al contempo straordinarie e interessanti:
noi stessi.

L’economia comportamentale sa insegnare come portare alla luce qualità intrinseche ma soffocate, far prendere decisioni migliori e, perché no, aumentare l’esperienza su quali possano essere gli effetti della comunicazione.

Sappiamo che quando l’esperienza aumenta, l’ingenuità diminuisce: una nuova porta per comportamenti consapevoli dunque, a 360 gradi.

Bibliografia e sitografia

 


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