Ormai è da tempo che parliamo di intelligenza artificiale ma ancora in tanti si stanno chiedendo cosa può fare per noi oggi. Per scoprire un importante e inusuale punto della situazione, con Adv Media Lab abbiamo intervistato un influencer tra più interessanti in campo tecnologico in circolazione: Cosimo Accoto, autore de "Il mondo dato".
- Premesso che ti avremmo voluto fare almeno 327 domande… iniziamo da te. Tra le tue storie professionali in grandi aziende (ad es. Nielsen, Comscore) e l’attuale esperienza all’MIT e il tema dell’intelligenza artificiale, quali sono state le occasioni che più ti hanno segnato e che ti hanno spinto ad essere ciò che sei, professionalmente e personalmente?
Sono un filosofo di formazione, ma che ha sempre lavorato in aziende (di dati e piattaforme software) prima e poi nella consulenza di management (su progetti di trasformazione digitale).
Da oltre due anni, sono al MIT per un visiting appointment come research affiliate sui temi delle tecnologie di frontiera (data science, blockchain tecnology, platform design e intelligenza artificiale) esplorati con una prospettiva culturale e filosofica.
Ciascuna di queste esperienze mi ha arricchito costruendo e contaminando il mio profilo: il lavoro nell'industria dei dati è stato fondativo per un orientamento quantitativo, quello consulenziale ha fatto maturare la dimensione più progettuale e trasformativa del business e delle imprese, la ricerca infine ha ampliato gli orizzonti e le competenze sulle tecnologie emergenti.
Guardando oggi a ritroso, direi che l’impronta filosofica è, però, quella che ha fatto da sottofondo nel lavoro e nella ricerca (sempre condotti in parallelo) rendendo distintivo questo percorso tra dati, codice, piattaforme, algoritmi e protocolli, culminato con la pubblicazione del mio saggio “Il Mondo Dato”, oggi tradotto anche in inglese per Bocconi University Press.
- Dopo il rumore dell’anno appena trascorso, ci dobbiamo aspettare un’IA sempre più profondamente presente nel nostro quotidiano, con chip “intelligenti”, assistenti vocali, chatbot, “suggeritori” (Google, Netflix, Spotify ecc.)... Secondo la tua opinione, ci saranno grossi passi in avanti ben percettibili o si procederà gradualmente?
Si, la pervasività di algoritmi di “intelligenza artificiale” (uso questa etichetta storicamente consolidata, ma per alcuni problematica) continuerà.
È l’anima, diciamo così smart, dell’economia digitale in divenire. Se c’è questa (e sempre più in futuro), ci sono anche loro.
Oggi è il momento del deep learning che ha conosciuto nell'ultimo decennio dei grandi passi in avanti pur arrivando da lontano.
Molti se ne dovranno ancora fare perché siamo solo all'inizio dello sviluppo spinto oggi da investimenti, nuovo hardware, nuovi algoritmi e dati crescenti.
Se manteniamo le giuste aspettative evitando le fughe pindariche dell’hype potremo avanzare ancora sulla parte di percezione, visione e mobilità, mentre la parte più alta dello stack dell’AI (ragionamento, planning, senso comune, ragionamenti di causalità) è ancora un pò indietro e richiederà impegno e sforzo.
L’idea che circola è che sia necessario dotare le macchine di una base di modelli (causali, ad esempio) del mondo su cui si possano poi innestare l’apprendimento via esperienza più efficacemente.
Avremo, dunque, sempre più sistemi ibridi come già accade (knowledge + learning), non basterà il solo deep learning.
Ma nel frattempo, proprio a tre dei padri contemporanei del deep learning (LeCun, Bengio e Hinton) è stato assegnato a fine marzo 2019 il premio Turing Award, una sorta di Nobel per l’informatica. Un grande riconoscimento per le reti neurali artificiali e il loro approccio all’AI.
- Code economy, data science, artificial intelligence, platform thinking e blockchain business, in ambito B2B, invece, quale cambiamento di rotta stai osservando?
Si fa sempre più fatica a tenere separate categorie classiche come B2B e B2C.
La logica dei business a piattaforma sta scardinando sempre di più queste classificazioni tradizionali settoriali.
Dovremo cominciare a parlare, di “ecosistemi di piattaforme” e di “integratori di risorse” più che di aziende, di indotto o di partner. Mi riferisco, in particolare alla difficoltà di aziende e manager nell’esplorare e introiettare in profondità logiche service-dominant e modelli platform-oriented.
Tutti gli attori dell’ecosistema, infatti, beneficiano di servizi e tutti sono “integratori di risorse” nella generazione e co-creazione di valore e servizio (scambiato sempre in cambio di altri servizi: valori, beni, dati).
Il valore si crea con l’uso, in rete e tramite lo scambio tra attori (né produttori né consumatori).
Il mantra della customer-centricity è superato: il valore è eco-sistemico.
In questo senso credo, ad esempio, che l’applicazione di “smart contract” tra aziende potrà scardinare ulteriormente settori, categorie e logiche obsolete.
Ad esempio, si comincia a parlare di ACI (application contracting interfaces) e non solo di API, come forme di contrattazione automatizzata che superano ulteriormente i confini canonici di quello che abbiamo conosciuto come impresa.
- La velocità delle innovazioni tecnologiche è molto alta e gran parte di quelle che si sono presentate all’inizio di questo secolo sono state basate sostanzialmente su degli algoritmi di intelligenza artificiale. Ciò che manca, però, è l’interoperabilità e l’integrazione tra di essi, ad oggi ottenibile con servizi terzi. Quali novità prevedi sugli sviluppi del tema?
L'interoperabililtà è una delle questioni chiave del futuro delle nuove infrastrutture che stanno emergendo.
Fu una questione all'epoca per le reti internet, è una questione oggi per le reti blockchain anche nella prospettiva della gestione di una intelligenza artificiale distribuita e decentralizzata.
È un tema importante, ma molto sottovalutato ad oggi. Che fa riferimento a connessione e scambio tra sistemi (con possibilità di trasferire un token o criptovalore da una rete ad un’altra, ad esempio), ma anche più generalmente a capacità di resistenza e sopravvivenza infrastrutturale ad attacchi. Anche se qualcosa dovremmo poter imparare dai trent'anni di storia di interoperabilità in internet.
L’altra questione chiave è la gestione e l’interoperabilità per così dire dei dati che alimentano gli algoritmi. Il gruppo di ricerca del prof. Pentland propone ad esempio la logica di portare gli algoritmi verso i dati e non viceversa.
Questo consentirebbe di poter condividere informazioni, magari all'inizio in forma aggregata e naturalmente anonima, tratte, ad esempio dai database aziendali o istituzionali senza però condividerli o scambiarli in toto. Che è la preoccupazione delle aziende e di chi deve gestire, ovviamente, la riservatezza dei dati di consumatori o cittadini.
- Media e comunicazione. Cosa sta accadendo?
Credo che stia accadendo molto anche se ancora poco percepito perché le logiche e le dinamiche sembrano ancora molto vicine al vecchio mondo.
Ma è questione di percezione e di tempo.
C’è un tema di paradigmi concettuali (e strategici) che ancora sopravvivono nelle menti dei marketer e dei brand. Quello più radicato e credo però anche più obsoleto in prospettiva è quello dell’economia dell’attenzione.
Le aziende tradizionalmente hanno cercato costantemente strategie per creare attenzione nei consumatori (umani) mentre si stanno costruendo nuove ecologie mediali in cui altri saranno gli agenti da "attenzionare".
Se ci pensi abbiamo cominciato qualche anno fa con creare siti web che avessero due audience, una umana e una inumana (gli algoritmi che indicizzano le pagine).
Ecco, credo che progressivamente dovremo estendere questa strategia dell’attenzione algoritmica anche ai non umani che per conto di questi ultimi svolgeranno dei compiti (riordinare il frigo vuoto, prenotare un’auto, negoziare il prezzo dell’energia di casa con le utilities) senza attenzionare l’uomo. Lasciandolo fuori dal loop come si dice.
Secondo alcuni c’è addirittura proprio un calo dell’efficienza del simbolico a favore dell’algoritmico.
Il simbolico come riduttore dell’incertezza per consumatori e aziende ha ora un competitor: l’algoritmico che è un grande riduttore di complessità (raccomanda, filtra, anticipa).
- Come è noto, per i prodotti o servizi la personalizzazione dell’esperienza utente la fa da padrona in un’era così ricca di scelte. I prodotti o servizi che ad oggi posseggono più appeal sono proprio quelli che suggeriscono all'utente o danno l’opportunità di personalizzare l’esperienza (talvolta senza nemmeno che l’utente finale se ne renda conto). Con tutti i dati che si stanno raccogliendo e con la previsione che “il bisogno” di effettuare un acquisto o un’azione sarà prevenuto dall'intelligenza artificiale, cosa possiamo intravedere all'orizzonte, oltre all'iper-personalizzazione del contenuto?
Come spiegano i filosofi digitali più radicali gli oggetti intelligenti avranno la capacità di anticipare i nostri comportamenti, abitudini e desideri attraverso una dimensione temporale digitale nuova che è il “feed-forward” (o protenzione o anticipazione).
Non saranno solo oggetti intenzionali, ma protenzionali.
Non agiranno solo in tempo reale, ma in tempo anticipato. Siamo oltre il real-time marketing. Io dico che siamo nel near-time marketing. E questo cambierà ulteriormente il paradigma di comunicazione e marketing (che ho ridefinito perciò, markething).
Come sarà questa nuova società oracolare (non più archivistica), come l’ho definita? È tutto da immaginare. Perché non sembri filosofia pura, segnalo che è uscito da Harvard Business Press, un saggio di economia e business che si intitola proprio “Prediction Machines”. E si riferisce alla capacità delle macchine attraverso sensori, dati, algoritmi di intelligenza artificiale (il tutto animato da codice software) di effettuare predizioni e pertanto di invertire la logica temporale di business. Ad esempio, siamo abituati al modello shopping-then-shipping (prima compri, poi te lo porto casa).
Presto potremo muoverci invertendo la sequenza: e, quindi, come dicono gli autori, shipping-then-shopping perché sapremo predire con accuratezza cosa compreremo in futuro.
È chiaro che ci stiamo muovendo da un paradigma dell’attenzione in tempo reale (senza più scarsa, tra l’altro) verso un paradigma dell’automazione in tempo anticipato.
Il trend è verso l’anticipatory design e molte nostre attività del futuro verranno ridisegnate come un problema di predizione.
- Sono passati praticamente 2 anni dall’uscita del tuo “Il mondo dato. Cinque brevi lezioni di filosofia digitale”. Un’era geologica se pensiamo al digitale… E nel frattempo? È cambiato veramente tanto lo scenario digitale dall’epoca della chiusura di questa interessante edizione?
Sono stati due anni intensi.
Il "Mondo Dato" è stata una scommessa rischiosa: un saggio di filosofia sulla tecnologia rivolto ai manager.
È una scommessa che abbiamo chiuso con successo considerato quanto è accaduto in questi più di due anni.
Nonostante l’età, il libro non soffre di obsolescenza: un po’ perché era stato già immaginato in anticipo rispetto ai tempi e in secondo luogo perché tocca cinque pilastri chiave di interpretazione del nostro presente.
È una mappa concettuale e in quanto tale non invecchia.
Continuano a farne richiesta, a leggerlo, a commentarlo e a raccomandarlo col passaparola. E anzi quei temi semmai si rinforzano di mese in mese: il tema dell’economia del codice, l’impero dei sensori, la centralità del dato, il dominio degli algoritmi e i business a piattaforma non sono questioni che perdono di rilevanza.
Tutt'altro, si riconfermano ogni giorno come gli elementi chiave della nostra economia e società. Quindi per ora non è prevista una nuova edizione.
Piuttosto, è in preparazione un nuovo libro che sarà dedicato alla filosofia dell’automazione. Diciamo un secondo volume che, con lo stesso spirito e taglio filosofico del Mondo Dato, affronterà il tema dell’automazione e "dell’automabilità" del mondo da diverse angolature: robotica, ma anche cognitiva, ma anche dei nuovi protocolli come la blockchain. Non era il focus di allora, lo sarà con approfondimenti, credo sorprendenti per lettori e lettrici, nel nuovo volume.
- Blockchain, big-data e intelligenza artificiale. Da un lato la trasparenza, sicurezza, privacy e potenza computazionale distribuita, dall'altro tecnologie già affermate e che stanno evolvendo ad alta velocità. Da attento osservatore, cosa stai notando che vale secondo te veramente la pena soffermarsi?
Sicuramente questi due filoni saranno centrali.
Aggiungerei dal mio osservatorio, la computazione quantistica che sta cercando di lasciare i laboratori di ricerca per provare a entrare nell'industria e nell'economia e la biologia sintetica che tra nanotecnologie e living machines sta accelerando le sue prospettive di ricerca, ma anche di progettazione di nuovi materiali e potenzialmente di nuove forme di “vita” sintetica tra biologia e ingegneria. E i vari possibili incroci tra tutte queste ovviamente.
Ad esempio, è interessante la robotica sociale o swarm robotics in cui macchine con identità digitali diverse caricate in blockchain interagiscono in maniera collettiva e orchestrata in squadre di intervento.
Quindi reti decentralizzate e intelligenza estesa. O il fatto che oggi le specie animali sono messe in comunicazione grazie a macchine computazionali che fanno da ponti e traduttrici come, ad esempio, è accaduto in un altro recente esperimento comunicazionale tra pesci e api.
Quindi non solo traduzioni tra lingue di una stessa specie (come accade oggi), ma traduzioni e comunicazioni di linguaggi tra specie diverse. Si aprono scenari potenziali e innovativi molto interessanti.
Naturalmente, alle opportunità di accompagnano le molte vulnerabilità (di sicurezza, di etica) che dovremo "attenzionare" e sciogliere.
- Agli eventi cui sei invitato ti piace fare da “provocatore”. Bene sei nel posto giusto. Cosa ti piacerebbe dire di “provocatorio” all'imprenditore medio italiano di una PMI o ad un suo responsabile marketing o commerciale, anche in presenza di un loro IT magari…
Le mie provocazioni sono sempre fatte con l’obiettivo di stimolare e scardinare modelli concettuali e strategici. Anche il mio recente articolo su Harvard Business Review andava in quella direzione.
D’altro canto, scardinare e turbare dicevamo gli antichi filosofi è il compito della filosofia. Ed è quello che credo serva in qualche misura in un’epoca di forti discontinuità come è quella presente.
Il nostro patrimonio imprenditoriale è sicuramente di valore, arriva da lontano in molti casi e ha il potenziale per guardare al futuro. A patto che però sappia assorbire la nuova cultura digitale che è il motore dell’economia contemporanea e sempre più del futuro e farne il suo nuovo DNA. Che non è solo comprendere il marketing digitale o la fabbricazione digitale come si potrebbe pensare.
È acquisire la competenza su una più complessiva cultura del digitale, di cosa significa un’economia guidata dal codice software, cosa sono una società e un mercato sensorizzati pervasivamente, che prodotti o servizi si possono immaginare con l’intelligenza artificiale, cos'è operare dentro ecosistemi di business a piattaforma e così via.
Queste sono le nuove ecologie in cui ci troviamo a vivere ed operare con l’arrivo di nuove “specie” di attori economici e di nuove strategie di competizione e adattamento (pensiamo alle piattaforme e alla loro competizione con le imprese). E sul punto, provocatoriamente, sappiamo tutti bene cosa pensava il vecchio Darwin.
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