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Retail e resilienza. Consigli per combattere la crisi

Scritto da Daniel Casarin | aprile 16, 2020
La crisi alla quale stiamo assistendo ha una portata globale. Partita dalla Cina ormai qualche mese fa, la pandemia di Coronavirus sta bloccando l’intero pianeta. L’impatto economico effettivo non è ancora del tutto calcolabile, i tempi di stop dipenderanno dall’andamento dei contagi nelle diverse aree del mondo. Sicuramente, uno shock di questo tipo ha delle conseguenze molto profonde su delle economie già precedentemente vicine alla recessione. L’impatto più forte riguarderà sicuramente i trasporti pubblici, gli spostamenti internazionali e il commercio retail, ma non ci sono settori che possono ritenersi esenti da conseguenze e perdite considerevoli.

Le necessarie norme restrittive adottate dall’Italia e dall’Europa unite alla comprensibile paura dei cittadini portano ad una perdita considerevole di transazioni sul mercato, anche per le attività che possono restare aperte. Ma la recessione va combattuta giorno per giorno, mettendo in atto strategie che guardano al futuro, preparando la strada per una nuova crescita. Ciò che si chiede ai retailer in tempo di recessione è resilienza: la capacità di affrontare il trauma con una visione più ampia e una capacità di reazione tempestiva e consapevole.

L’epidemia da Coronavirus si aggiunge ad una situazione economica globale già parzialmente compromessa. Da molti mesi, tutte le grandi economie mondiali stavano dando cenni importanti di stagnazione e lo spettro della recessione era già molto vicino. In una situazione di questo tipo, lo stop forzato di molte industrie e i forti ritardi nella supply chain sono fattori che amplificano ed aggravano notevolmente la situazione.

Alcuni studi sul sentiment dei cittadini americani condotti da Coresight Research lo scorso febbraio, mostrano come la paura era già crescente: lo stile di vita non era ancora cambiato ma si iniziavano a percepire come minacciosi e pericolosi i luoghi aperti con assembramenti di persone. Il 27,5% delle persone intervistate stava già evitando i luoghi molto affolati, come centri commerciali e supermercati. Il 58% ha dichiarato che avrebbe cambiato il suo stile di vita se la situazione fosse peggiorata.

Oggi gli Stati Uniti si trovano a vivere l’emergenza come l’Europa e a chiudere tanti esercizi commerciali ed uffici ritenuti non necessari.

Se all’inizio la tendenza ad evitare i centri commerciali poteva essere un vantaggio per le piccole attività indipendenti, ora il problema ha assunto una dimensione collettiva molto più grave. In Europa come negli Stati Uniti, ad essere messa in discussione è la struttura economica globale, fatta di una catena di approvvigionamento transnazionale e di una distribuzione che non può rimanere negli stretti confini nazionali.

La recessione che stava iniziando già nel 2019 sta diventando un’inevitabile realtà. Le piccole e medie attività di retail rischiano di pagare un prezzo altissimo.

Ma ogni crisi rappresenta una grande opportunità per chi si fa trovare pronto e reagisce in modo tempestivo. Dalla Cina al resto mondo è necessario che i retailer prendano in mano la situazione e inizino una pianificazione strategica per uscire dalla crisi più forti e per cogliere le opportunità che ogni grande cambiamento porta con sé.

Ma analizziamo nel dettaglio.

 

Retail: la crisi cinese diventa globale

Questa crisi profonda che oggi flagella l’Europa e coinvolge in modo importante anche gli Stati Uniti è partita dalla Cina ormai alcuni mesi fa. Oggi la situazione cinese sta fortunatamente migliorando ma le aziende della provincia dell’Hubei e della città di Wuhan hanno subito uno stop forzato e un crollo della produzione, con gravissime ripercussioni sulla supply chain a livello internazionale. In queste zone si produce tutta la componentistica high-tech dei grandi brand mondiali e manifatture enormi di ogni settore sono localizzate qui.

Dopo la chiusura dei punti vendita cinesi, si sono registrati difficoltà e ritardi nelle spedizioni in tutto il mondo. Molti brand internazionali come Nike e Under Armour hanno dichiarato una perdita significativa di fatturato per l’anno 2020: sin dall’inizio la crisi non ha riguardato solamente la Cina.

La minaccia per il retail è doppia: da un lato gli store cinesi sono stati chiusi e i turisti cinesi non hanno potuto viaggiare e spendere. Già questi aspetti hanno comportato serie conseguenze in alcuni settori come quello del lusso, molto legati ai clienti cinesi. Dall’altro lato, l’isolamento della Cina ha portato un ritardo e una scarsità nella produzione delle materie prime provenienti dalla zona.

Moltissime aziende che acquistano materie prime o semilavorati dalle aziende manifatturiere cinesi hanno dovuto bloccare le prenotazioni o creare delle liste d’attesa per l’acquisto dei loro prodotti.

Inoltre, anche chi non si rifornisce direttamente dalla Cina, ma da paesi orientali limitrofi, potrebbe aver incontrato difficoltà: l’intera catena di approvvigionamento asiatica è profondamente legata alla Cina e prevedere alcuni passaggi necessari su quel territorio.

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L’impatto del Coronavirus sul retail

La situazione è fluida e si modifica molto velocemente con le evoluzioni del virus e l’impatto sui diversi paesi del mondo. Anche gli Stati Uniti che fino a qualche giorno fa non avevano modificato le prospettive di crescita per il retail stanno ora reagendo in maniera più decisa.

Sicuramente in Europa e in Italia le ripercussioni sul retail saranno molto profonde e pagheranno questi giorni di blocco totale. Dall’approvvigionamento alla vendita al cliente finale, i negozi al dettaglio stanno registrando grandi e inevitabili difficoltà.

Un primo passo, per comprendere meglio la situazione è provare a mappare le conseguenze più evidenti e le minacce che questa crisi sta portando con sé.

Interruzioni e ritardi nella supply chain

Come detto sopra, la prima e più evidente implicazione riguarda tutti i collegamenti con la Cina. La lunga chiusura forzata delle aziende cinesi dell’Hubei ha portato inevitabilmente ad una riduzione della produzione e delle spedizioni di materie prime, semilavorati o prodotti finiti. Gli indici cinesi sulla produzione hanno toccato il livello minimo registrato dalla Grande Recessione.

Ma la catena di approvvigionamento non conosce confini nazionali: a fine febbraio si registrava un calo del 9% sulle flotte di container destinati alle spedizioni di prodotti in tutto il mondo. Per questo le ripercussioni sono diventate da subito di carattere globale.

Un settore particolarmente minacciato è quello del giocattolo, con i grandi colossi Mattel e Hasbro che dipendono quasi totalmente dalla produzione cinese. Anche i venditori del marketplace Amazon hanno subito sottolineato grandi difficoltà di approvvigionamento per le merci provenienti dall’Asia.

Ma la supply chain non riguarda solo la grande distribuzione e i grandi brand: anche i piccoli e medi retailer patiscono la difficoltà di riempire gli scaffali in modo costante, per garantire ai clienti una normale esperienza d’acquisto.

Questa crisi potrebbe fornire lo spunto per trovare nuovi contatti e rendere la catena di approvvigionamento più locale da un lato; dall’altro potrebbe essere l’occasione per i retailer per incentivare i pre-ordini e le liste di attesa per trasformare un ritardo inevitabile in un senso di esclusività, che arricchisce l’offerta.

 

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Avversione e presa d’assalto: i contrasti dei supermercati

I grandi supermercati vivono questa emergenza con dei grandi contrasti. Da un lato c’è la paura dei clienti per il contagio, per gli assembramenti e i rischi alla salute da evitare. In un primo momento e come reazione istintiva, la popolazione è portata ad evitare la grande distribuzione per scegliere i piccoli negozi al dettaglio. Soprattutto l’Italia ha ancora una rete importante di piccoli negozi di quartiere sui quali fare affidamento.

Dall’altro lato, nei momenti di crisi e di incertezza, il supermercato assume un ruolo simbolicamente importante: in questi giorni, si è assistito a vere e proprie razzie di beni di prima necessità. Un’istintiva paura attiva la popolazione e la spinge a fare incetta di cibo a lunga conservazione e prodotti per la disinfezione e la cura personale.

Per questo motivo, la grande distribuzione assiste ad un calo della richiesta di alcuni prodotti ma ad una crescita della vendita dei beni essenziali. Se economicamente potrebbe non subire grandi perdite, è importante che sappia monitorare con attenzione gli approvvigionamenti per non rischiare di rimanere sprovvista di quei prodotti essenziali. Una mancanza che avrebbe anche un effetto psicologico pericoloso sui clienti.

L’impatto per il settore del lusso

Come detto in precedenza, il settore luxury è particolarmente colpito da questa pandemia. Il primo evidente risultato riguarda la cancellazione delle fashion week previste in questi mesi. Se la Milano Fashion Week è riuscita a svolgersi, prevedendo la partecipazione virtuale dei creativi cinesi, a Parigi le defezioni sono state maggiori. La settimana della moda di Seul è stata invece direttamente cancellata.

Alle enormi perdite economiche dovute all’annullamento di questi eventi si sommano anche le difficoltà legate al retail. I grandi brand del lusso offrono nei loro negozi delle vere e proprie esperienze per i clienti, non riproducibili con gli acquisti online. Non si offre solamente il prodotto ma un senso di lusso e di eccezionalità che vive in ogni dettaglio dell’esperienza in store.

Infine, una parte importante degli acquirenti mondiali del luxury è cinese e la pandemia da Coronavirus ha momentaneamente annullato il potenziale di quell’importante fascia di mercato.

In situazioni gravi come quella odierna, i clienti tendono a ritornare agli acquisti dei beni essenziali, sospendendo lo shopping di altro genere. È importante che il settore del lusso sappia rispettare il sentiment del momento senza scomparire dalla mente dei clienti: molto utili in questo periodo delle note, dei reminder e l’invio di offerte private e personalizzate. Esserci per i propri clienti senza risultare troppo insistenti e poco rispettosi.

Le piccole attività indipendenti

Le piccole attività indipendenti subiranno sicuramente un impatto importante: non possono contare sulle possibilità di redistribuzione delle grandi catene e dei global brand. Gli approvvigionamenti sono a rischio anche a questo livello e per i beni che non sono di prima necessità, le normative stanno imponendo la chiusura.

Un caso importante in questo senso sono i duty free: gli aeroporti sono aperti ma i voli sono più che dimezzati. Per il 2020 erano attese vendite da duty free per 43,4 miliardi di dollari, ma è stata già stimata una perdita del 19%, a causa del Covid-19.

Tutta la vendita di merchandising legata a competizioni sportive, concerti ed eventi dal vivo subirà una battuta d’arresto inevitabile. Allo stesso modo, tutti i prodotti che girano intorno alle vacanze: souvenir e attrezzatura da campeggio registreranno cali significativi nelle vendite.

L’eCommerce: un’opportunità da valutare

L’eCommerce sembra essere l’unico canale che possa non solo resistere ma migliorare le proprie performance. Tutti i retailer che vendono anche online in questo momento possono concentrarsi in questa direzione.

Anche per quanto riguarda le vendite online ci potrebbero essere dei ritardi nell’approvvigionamento e nella supply chain globale, come lo stesso Amazon ha registrato. Ma avere un canale attivo online consente di ammortizzare le perdite degli store fisici e di garantire una presenza costante ed attiva ai propri clienti. Per ovviare almeno parzialmente ai ritardi si potrebbe chiedere ai clienti, consapevoli della situazione, di effettuare un preordine o di iscriversi ad una lista d’attesa.

Per le attività che invece non sono online, l’impatto sarà più intenso. Ma è comunque importante rimanere accanto ai clienti con la comunicazione dell’impegno reale dell’azienda per combattere questa battaglia comune.

Se un brand, come nel caso del luxury, non nasce per essere online, non è il caso di forzare la situazione in questo momento per cercare nuovi guadagni. È necessario rispettare la brand image costruita nel tempo e comunicare ai clienti presenza e impegno.

 

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La resilienza dei retailer

La situazione economica mondiale è molto grave; il Coronavirus sta imponendo una recessione simile, se non peggiore del 2008. Ma le grandi crisi possono anche offrire grandi opportunità alle aziende e ai retailers che sanno leggere la situazione prima degli altri e guardare al futuro. Non si tratta di evitare il colpo ma di assorbirlo in modo da minimizzare i danni e ripartire più forti.

Dal passato si può imparare molto: i retailers che hanno dimostrato resilienza sono quelli che davanti ad una fase recessiva hanno immediatamente ridotto i costi di gestione. Può sembrare scontato, ma ottimizzare le spese è il primo elemento per una gestione oculata, soprattutto nelle emergenze.

Accanto a questi tagli, rimane la prospettiva verso il futuro. Il passato ci insegna che i negozi vincenti, non solo sono sopravvissuti ma sono cresciuti nel periodo difficile aumentando le vendite. Questo dimostra che erano preparati ad affrontare la crisi e non sono stati colti impreparati: al momento giusto hanno spostato gli investimenti sui prodotti più adatti alla situazione. Hanno organizzato in anticipo la gestione dell’emergenza.

A partire da questi esempi, sono state individuate 11 azioni che contraddistinguono i retailer più resilienti dell’ultima grande recessione 2008-2010.

11 Azioni per affrontare la crisi in modo efficace

Per capire come comportarsi in vista della prossima profonda recessione, osservare chi ce l’ha fatta e si è contraddistinto nella precedente può essere molto utile. Ecco che cosa hanno fatto per combattere la crisi ed uscirne più forti:

  1. Attenzione al flusso di cassa
    Semplice e fondamentale per ogni attività. Davanti ad una crisi è importante avere liquidità. I retailer resilienti hanno accresciuto le loro liquidità del 18% durante la crisi: questo attraverso la vendita e la cessione di proprietà o rami ritenuti poco proficui. Anche in questa fase, il giusto momento è fondamentale: ha avuto un vantaggio chi ha venduto prima, disponendo di maggiore liquidità al momento necessario.

  2. Tagli alle spese di gestione superflue
    Non si tratta di tagliare in modo indiscriminato. L’obiettivo è liberarsi di spese amministrative e gestionali realmente superflue. Questo tipo di spese sono dannose in ogni momento ma diventano pericolose in periodi di emergenza.

  3. Investire quando è il momento
    La liquidità ottenuta con cessioni e tagli deve essere investita al momento giusto. Qui serve una lucida osservazione della situazione in divenire: scorgere un’opportunità prima degli altri e essere nella condizione di sfruttarla è il segreto di ogni successo.

  4. Aprire nuovi mercati
    Se in alcuni mercati si rende necessario tagliare o ridimensionare le prospettive di crescita, può essere comunque il momento di guardare a nuovi mercati e a nuovi segmenti di mercato. È quello che hanno fatto grandi marchi come Zara e Starbucks nell’ultima recessione.

  5. Riformulare la value proposition
    I momenti di crisi sono l’occasione per ripensare la combinazione di prezzo, prodotto e assortimento. Invece di offrire ai clienti sconti indiscriminati facendo scendere il valore percepito del brand, riposizionare il prodotto sul mercato in linea con il momento. Nel 2008, Tiffany ha abbassato del 25% la sua linea di alta gioielleria ma ha aumentato del 10% la linea più commerciale. In questo modo, in un momento di grande crisi, ha aumentato i profitti.

  6. Mantenere il customer service competitivo
    Tra i costi che vengono spesso tagliati nelle emergenze c’è il customer care e tutta la prima linea di contatto con il cliente. I retailer resilienti non tagliano mai nel rapporto con il pubblico; investono in formazione e coltivano il rapporto attivando e potenziando il touchpoint del customer care. Agli occhi del cliente, si offre una presenza costante che trasmette grande affidabilità.

  7. Rassicurare i clienti
    Durante questa crisi è importante far sapere ai propri clienti come l’azienda sta operando e come tiene al sicuro loro e i propri dipendenti. Molti rivenditori hanno già inviato e-mail che informano i clienti sulle nuove procedure igienico-sanitarie e su altri protocolli di sicurezza.

  8. Adattare l’offerta al mondo digitale
    Le aziende che non hanno una solida offerta digitale, come devono muoversi? Alcuni retailer che non dispongono di negozi online inviano le email ai propri clienti per aggiornali sui nuovi prodotti che sono in magazzino. Altri ancora stanno creando modi completamente diversi per connettersi con i clienti, come le librerie locali che creano club digitali, i saloni di parrucchieri che offrono kit di colori personalizzati, e così via dicendo.
    In questo nuovo percorso, le aziende devono comunque assicurarsi di tradurre con fedeltà la loro value preposition anche nel mondo digitale. Ciò significa che i benefici che definiscono il loro business dovrebbero essere ben visibili.

  9. Concentrarsi sull'esperienza
    Le aziende dovrebbero rivalutare il customer journey dei loro clienti e immaginare quelli che potrebbero essere riprogettati per un mondo digitale. Questo include tutto, dall'espansione della capacità dell’offerta o del servizio clienti alla messa in pausa di alcune commissioni in ritardo/spese di cancellazione. I team di customer experience (CX) dovrebbero considerare cosa possono fare per garantire un'esperienza positiva, e farlo rapidamente, perché il dolore che i clienti proveranno a causa della pandemia è destinato ad aumentare nelle prossime settimane e forse mesi.

  10. Non lasciare appassire la propria brand community
    Che cosa possono fare le aziende per coinvolgere gli amanti del proprio brand quando questi non possono visitare i negozi? Questo è il momento in cui un’azienda dovrebbe sforzarsi di essere creativa. Si potrebbero incoraggiare le attività come passerelle di moda a casa con il proprio prodotto, oppure chiedere ai clienti di pubblicare delle ricette per utilizzare i prodotti in modi nuovi, e così via dicendo. Questo non solo intratterrà dei clienti annoiati, ma terrà occupati anche i dipendenti, che si concentreranno sulla costruzione del marchio durante queste settimane difficili. L’azienda così potrà uscire dalla crisi con un maggiore coinvolgimento sia dei clienti che dei dipendenti.

  11. Contribuire alla lotta
    Le aziende ora più che mai hanno bisogno di esprimere empatia e di partecipare alle iniziative sociali. Mobilitare risorse, sforzi, personale qualificato e volontari può fare davvero la differenza in questa emergenza. Più che per diffondere un messaggio o consolidare la propria reputazione per un dovere civile e sociale: la parola d’ordine di questi tempi è solidarietà.

Come si combatte la recessione?

Il mercato è fatto di fattori che si possono prevedere e pianificare accanto ad eventi imponderabili. Il Coronavirus è un’emergenza globale che aggraverà una crisi economica già in atto.

Per questo, chi si occupa di retail sa già che dovrà subire un forte colpo ma potrebbe sfruttare questi momenti per prepararsi ai prossimi mesi e affrontarli nel modo migliore.

La recessione si combatte guardando alla propria attività, individuandone i punti di forza e i punti di debolezza. Dove non si può migliorare è meglio tagliare subito, avere la liquidità per ammortizzare le perdite ed investire in nuove e migliori possibilità.

 

 

La recessione è una grande prova per ogni azienda e per ogni attività commerciale perché ne mette alla prova la gestione e lascia sopravvivere solo chi dimostra attenzione, resilienza e visione chiara sul futuro. Una sfida che nasconde grandi opportunità.