Ammettilo, internet e gli strumenti di condivisione della conoscenza sono stati una svolta per la maggior parte delle persone. Strumenti gratuiti e user-friendly hanno aiutato miliardi di individui a trovare in tempo reale le risposte alle numerosissime domande che ogni giorno ci poniamo.
Il sistema di algoritmi studiato da Google e co. per classificare le informazioni ha permesso a chiunque ricerchi, di ottenere proprio ciò che desiderava trovare: cliccando su un semplice bottone abbiamo la possibilità di selezionare esattamente ciò che ci serve, scartando tutti i concetti preliminari che nei libri e sulle enciclopedie sembrano voler "allungare la zuppa", rendendo la ricerca di quella semplice nozione, un vero percorso ad ostacoli….
Però, aspetta un attimo: è davvero un vantaggio tutto questo?
Certo, la conoscenza condivisa può essere solamente un vantaggio, specialmente per coloro che a causa del contesto in cui vivono non possono accedere facilmente a tecnologia e informazioni, ma se ci pensi bene qualcosa è cambiato nel valore conferito alle informazioni.
Basti pensare al ruolo dei social network in tutto questo.
Molto spesso, anche chi dimostra di non avere conoscenze di base su prodotti e discipline esprime il suo pensiero: magari appena dopo aver letto qualcosa relativo all'ambito in questione, si sente abbastanza informato (e formato) da poter sostenere una conversazione con un esperto o con dei semplici studenti della disciplina che magari stanno faticando da anni per sviluppare una formazione adeguata nel settore.
Più in generale, quel che si rileva inequivocabilmente è il costante appiattimento del valore percepito verso le informazioni.
La conoscenza di qualcuno vale quanto l’ignoranza di qualcun altro.
La tematica meriterebbe un approfondimento degno della sua gravità (dove anche la posizione di professori, ricercatori, studiosi ed imprenditori verrebbe analizzata più a fondo), ma, acclarato che questa non sia la sede ideale, fermiamoci qui con la polemica e proviamo invece a trasporre i fenomeni discussi in questa premessa nella logica della metodologia inbound e dell'inbound marketing.
L’inbound marketing e le radici del valore
Nonostante siano passati più di dieci anni dalla teorizzazione dell'inbound marketing da parte di Brian Halligan (CEO e Co-Founder di HubSpot) e di Darmesh Shah (CTO e Co-Founder di HubSpot), sembra ancora che i concetti alla base della sua applicazione non siano ancora ben chiari.
Ripassiamo insieme.
L'inbound nasce per la necessità di un approccio olistico da applicare alla disciplina del marketing.
Il bisogno di adottare una prospettiva rivolta maggiormente alla totalità deriva dal fatto che le tecniche di marketing tradizionale, attuate con successo in passato, non portavano più risultati concretamente soddisfacenti.
La tesi di Halligan e Shah si basava sull'osservazione di dati specifici: il blog sulle startup gestito da Shah mentre era ancora uno studente riceveva più visite dei siti web di grandi aziende, nonostante queste ultime disponessero di un team di marketing professionale dedicato.
Dunque, la tesi di Halligan e Shah era che i consumatori non desideravano più essere interrotti da marketer e pubblicità, piuttosto volevano "semplicemente" essere aiutati.
Aiutando le persone, mostrando loro come risolvere problemi e questioni si andava a influenzare il grado di fiducia tra venditore e acquirente e il focus non era più sul prodotto o sull'impresa bensì sul cliente e sullo sviluppo di un rapporto di fiducia.
Nel 2006, quando HubSpot ha utilizzato per la prima volta la terminologia “inbound marketing” l’ha definita come “una metodologia volta alla creazione di contenuti di qualità che attirano le persone verso l’azienda e la sua offerta”.
Dunque, lo scopo è attirare visitatori verso il proprio sito web (attraverso la creazione e la distribuzione di contenuti utili per l’utente), convertirli in lead, conquistare la loro fiducia e trasformarli in ambasciatori del brand.
Questa tecnica si basa sull'applicazione di tecniche Pull piuttosto che Push, le quali - per natura - puntano a veicolare un messaggio pubblicitario interrompendo le attività dell'utente.
L’inbound marketing invece, come concetto e strategia di internet marketing trova le sue radici nel permission marketing e nel content marketing.
Per questa ragione l’attenzione dei potenziali acquirenti deve essere ottenuta attraverso lo sviluppo di contenuti di alta qualità per l'utente, resi disponibili (quindi diffusi) attraverso diversi canali, quali social network, motori di ricerca, email e community.
Stai pensando di avviare una strategia di inbound marketing? Abbiamo quello che cerchi.
Cosa si intende con permission marketing?
Il permission marketing è il privilegio (non il diritto) di inviare comunicazioni rilevanti e personali a persone che le vogliono effettivamente ricevere.
- Seth Godin
E il content marketing, invece?
Il content marketing è un approccio strategico al marketing focalizzato sulla creazione e distribuzione di contenuti di valore, in grado in attirare e mantenere l’interesse di un pubblico chiaramente identificato e di guidarlo verso azioni profittevoli per l’azienda.
- Content Marketing Institute
Bene, qui siamo al giro di boa del nostro contenuto.
Appurato e ribadito che alla base dell'inbound marketing ci debbano essere contenuti di alta qualità, la questione ora si pone sulle modalità di produzione di questi contenuti.
Quindi, come si creano contenuti di qualità?
1. Competenza
Sembra banale dirlo, ma credimi, non lo è. E la massa di contenuti presente sulla rete lo dimostra. Proprio come ha detto Darmesh Shah nella sua presentazione ad Inbound 2017, sembra che la maggior parte dei marketer in questi ultimi anni si siano concentrati sul creare contenuto, piuttosto che sull’aggiungere valore…
C’è poco da dire, se si vuole parlare in maniera consapevole di un argomento o di un ambito, si deve necessariamente sviluppare competenza. E non basta conoscere due o tre nozioni, ma bisogna disporre proprio di tutte quelle conoscenze che, come abbiamo detto più in alto, “sembrano voler allungare la zuppa”.
In realtà, è proprio tutto quel bagaglio contestuale a creare quella superficie di principio sulla quale i concetti si muovono ed è grazie ad essa se possiamo giostrarci nei meandri della materia, comprendendo fino in fondo le sue dinamiche.
In breve, questo tipo di conoscenza ci permette di dare per scontati alcuni aspetti e contemporaneamente di saperne valorizzare altri ed è quella che in due parole si definisce conoscenza tacita.
Se volessi approfondire il tema delle competenze ti rimando a questo articolo sul T-Shape Model.
2. Il principio di Pareto nell’inbound marketing
Vilfredo Pareto è stato un economista, ingegnere, sociologo italiano. Durante la sua carriera ha sviluppato un principio che tutt’ora gode di grande fama perché applicabile a tantissime discipline: la legge 80/20.
Inizialmente la legge è stata estrapolata dallo studio sui redditi svolto da Pareto: semplificando, si affermava che l’80% della ricchezza risiedeva solamente nel 20% della popolazione, definendo effettivamente che il 20% delle cause ha come risultato l’80% degli effetti.
Per noi marketer l’ambito di applicazione del principio sta proprio nei contenuti. Nel nostro caso, a causa della sopracitata aspirazione alla quantità piuttosto che alla qualità per l’utente, i contenuti a generare la percentuale più alta di lead sono una parte minoritaria rispetto al loro numero totale.
Un caso concreto e davvero emblematico viene proprio da HubSpot che nella sua decennale attività ha prodotto più di tremila blog post: selezionando i contenuti che hanno convertito maggiormente, è risultato che il 20% dei contenuti sul sito ha generato il 93% (NOVANTATREPERCENTO) dei lead totali.
Questo significa che il il restante 80% ha generato solamente il 7% delle conversioni, una percentuale davvero bassa.
Quindi, se ancora non fosse chiaro, il valore sta nelle competenze e nella qualità dei contenuti e non nella quantità.
CRU Agency
Finalmente posso parlare del mio progetto del cuore: CRU Agency.
Se ti stai chiedendo perché ne parlo solo alla fine dell’articolo, ti rispondo subito:
Perché volevo che comprendessi fino alla nausea il valore delle competenze nell’applicazione della metodologia Inbound “secondo la ricetta originale”. Ho “allungato la zuppa” perché se un’agenzia vuole lavorare offrendo servizi di inbound marketing, specialmente in un settore verticale, deve dotarsi anche di competenze che escano dall’ottica della disciplina pura del marketing.
Circa sei mesi fa (marzo/aprile 2017) grazie alla visione di Daniel, abbiamo deciso di avviare il progetto di un’agenzia di marketing verticalizzata esclusivamente sul settore Food & Wine italiano.
Il punto di partenza della nostra idea imprenditoriale era proprio basato sulla frequentissima mancanza di competenze verticali riguardo a settori specifici della nostra economia.
Questo aveva (e ha) come conseguenza il progressivo allontanamento della disciplina del marketing dalle imprese del nostro Paese.
Se, come abbiamo detto, l’inbound marketing si basa su contenuti di valore e sulla costruzione di un rapporto di fiducia tra consumatore e impresa, ciò significa che il marketing ha cambiato la sua funzione, passando da mezzo di persuasione diretta (in ottica push e di outbound) con al suo centro l’impresa e il prodotto/servizio, a mezzo informativo, istruttivo e interattivo (in ottica pull e, appunto, di inbound).
Questo a sua volta, porta il marketer a divenire più una sorta di consulente all’acquisto, informando e quindi sviluppando e distribuendo cultura per i suoi clienti.
In questo senso, abbiamo osservato le difficoltà dei produttori dell’agroalimentare italiano, la cui unica leva contrattuale è quasi sempre legata alle politiche di prezzo, per offrire con un linguaggio semplice ed efficace articoli di Food Marketing.
Il nostro obiettivo era (è) di andare a colmare quel gap di conoscenza integrandoci noi stessi con nuove competenze sul settore agroalimentare (ad esempio internalizzando sommelier), in modo da poter dialogare quasi ad armi pari con produttore di vino, olio, pasta ecc. e applicando le tecniche di marketing e comunicazione all’impresa, sfruttando caratteristiche meno note di prodotti, di cultivar/razza, di metodi di produzione, di clima e morfologia di un territorio ecc.
L’approccio di CRU Agency è strettamente legato all’olismo espresso da Halligan e Shah riguardo alla metodologia inbound, non solo per la questione del rapporto tra utente e impresa ma anche per la scelta di voler offrire alle aziende una strategia integrata di marketing e comunicazione.
Proprio come scriviamo in questo contenuto i consumatori richiedono un dialogo sempre più ravvicinato ed intimo con le imprese, in ottica di trasparenza, tracciabilità e in generale, autenticità.
Per questo motivo è fondamentale fornire ai consumatori tutte le indicazioni e gli strumenti per scoprire quanto più possibile del prodotto o dell’azienda.
La strategia di cui parliamo non tratta di nulla di nuovo, poiché il suo scopo è di chiarire la necessità di integrazione e omnicanalità.
Per unire i quattro elementi della strategia non ci si può basare solo sul buyer’s journey e sul customer journey - con il relativo processo, canale > contenuto > offerta > landing page > thank you page > email > vendita - significa piuttosto sfruttare le conoscenze in ambito Food Marketing per operare nella migliore applicazione degli strumenti e per offrire la migliore esperienza end-to-end.
Faccio un esempio:
Spesso anche ad eventi di Food Marketing si percepisce, da parte di relatori e organizzatori, una mancanza di conoscenza tecnica e tacita riguardo i prodotti agroalimentari, le loro materie prime, la produzione, affinamento e stagionatura, gli organismi di controllo e tutela, le normative ecc. e di conseguenza si nota che il focus non è tanto sul prodotto e su ciò che lo nobilita nelle sue caratteristiche (i contenuti di valore, ricordate?) ma si parla più che altro di brand e di immagine.
Qualcuno però potrebbe dirmi che le politiche di brand sono importantissime per le aziende del comparto agroalimentare, basta guardare i grandi casi di Nutella o Barilla…
Certo! Le politiche di valorizzazione del marchio sono fondamentali, come deve essere presente tutta quella comunicazione di design e di grafica che nella simbologia delle forme e dei colori è già in grado di posizionare il prodotto nella mente dei potenziali clienti.
Quello che però non bisogna pensare è che le politiche di brand siano gran parte del lavoro di valorizzazione.
Dobbiamo ricordarci che mentre i grandi marchi operano su logiche di massa, la grandissima parte delle aziende del Food in Italia ha molte più opportunità nei mercati di nicchia, dove è la cultura di prodotto, di territorio e d’impresa e a fare la differenza. E sia ben chiaro, nicchia non vuol dire mercato piccolo: in Cina una nicchia è 4-5 volte la popolazione italiana…
Nasce l'Internet Of Food
Prendiamo anche in considerazione i costi della tecnologia: qualcuno ha detto che stiamo vivendo un’epoca in cui è più facile che mai avviare un’attività, ma è più difficile che mai farla emergere dal mercato.
Questa affermazione è più che mai vera se pensi che ormai abbiamo a disposizione un numero altissimo di tecnologie gratuite o quasi che permettono strutturare una strategia di marketing basilare ma efficace (in merito a questo, ti rimando ad un eBook dedicato proprio a strategie di Low Budget Food Marketing).
In particolare, sempre seguendo la logica della trasparenza, della tracciabilità e dell’autenticità, oggi anche un’azienda con una produzione limitata, è in grado di garantire la provenienza dei suoi prodotti applicando tag o codici che basandosi sul sistema dei database distribuiti (blockchain), conferiscono - senza possibilità di contraffazione - una certificazione dell’autenticità di prodotto.
Puoi immaginarti il riflesso che queste tecnologie possono avere, specialmente come soluzione al fenomeno Italian Sounding.
Offrire un’esperienza di marketing e comunicazione che non si fermi all’acquisto e alla consumazione del prodotto, ma che prosegua ricollegando l’utente con tutto il sistema informativo dell’impresa è proprio quello che serve per costruire quel percorso di comunicazione end-to-end di cui parlavamo più in alto.
Se sei interessato al tema Blockchain e al significato di Internet of Food per il made in Italy ti rimando a questi due articoli:
- L’unione fa la forza. Blockchain: cos’è, come funziona e applicazioni
- Internet of Food: il vero significato di tracciabilità, trasparenza e autenticità
Concludendo...
Anche nell’utilizzo della tecnologia l’approccio ideale deve essere olistico: non si può prescindere dal brand ma non si può prescindere assolutamente da prodotto, territorio e impresa.
È assolutamente necessario che la disciplina del marketing venga riqualificata e riposizionata per le piccole e medie aziende del nostro tessuto imprenditoriale, le quali devono comprendere il valore delle attività digitali e devono cominciare a credere che la metodologia inbound può essere solo un enorme vantaggio, specialmente per le imprese più piccole.
Ti stai ancora chiedendo il perché?
Perché si può vendere senza vendere, aiutando il cliente finale maturare le sue scelte.
Perché con la cultura si mangia: l’Inbound (Food) Marketing distribuisce cultura per istruire ed educare clienti alla bellezza del territorio italiano, dei suoi prodotti e dei processi d’influenza che sussistono tra impresa, produttore, territorio, clima, materia prima e prodotto.
Ma per arrivare a questo servono competenze professionali, approccio olistico e orientamento al risultato.
Sei il proprietario di un'azienda agroalimentare e vuoi capire come valorizzare al meglio il tuo prodotto?